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Il nostro rapporto con il cibo


di Emanuela Barbero

Il nostro rapporto con il cibo in genere è fortemente emotivo e irrazionale e si fonda per lo più su abitudini radicate profondamente dentro di noi sin dalla più tenera infanzia. Con i vari cibi con cui entriamo in contatto stabiliamo di volta in volta rapporti di gradimento, di avversione, di dipendenza. Ci sono cibi per cui andiamo pazzi e altri che detestiamo profondamente: questi meccanismi sono presenti in maniera più o meno marcata in ognuno di noi.

Riguardo all’alimentazione, anche indirizzando l'attenzione su un territorio di razionalità attraverso percorsi di approfondimento sul piano della salute, dell’impatto ambientale, della condizione degli allevamenti intensivi, delle ripercussioni sulle risorse alimentari globali, il più delle volte risulta difficile scalfire il personale rapporto che ogni individuo ha instaurato con il cibo di cui è solito nutrirsi. Questo rapporto infatti è fortemente correlato con l’ambiente in cui ciascuno di noi è nato e cresciuto e vive, ed è quindi indispensabile la capacità di saper mettere in discussione, o quanto meno in dubbio, abitudini fortemente radicate in noi stessi e per anni date per scontate e ritenute assolutamente “giuste” e sacrosante.

Senza questo presupposto ogni possibilità di valutazione oggettiva degli effetti e dell’impatto della nostra alimentazione (e del nostro stile di vita in generale) diventa davvero molto difficile, quando non addirittura impossibile.


Implicazioni psicologiche e pratiche

Poiché il cibo è così strettamente associato ai nostri momenti di convivialità, esso è inevitabilmente legato alla nostra vita sociale ed è caratterizzato da una forte componenete di emotività in grado di evocare in noi un senso di nostalgia più o meno pronunciato per le occasioni di condivisione presenti nella nostra memoria. Le cene spensierate con gli amici, i barbecue all'aperto, i pranzi di Natale in famiglia o i cenoni di Capodanno… il cibo a cui siamo abituati ci ricorda spesso tutto ciò che è legato al nostro passato e all'infanzia, con il conseguente struggimento per i bei momenti andati.

Alcune persone, avvicinandosi al vegetarismo, sperimentano quindi un senso di perdita e di ansia, perché temono che questi momenti per loro così significativi possano andare perduti e non siano da lì in poi più ripetibili, dato che sono strettamente associati al consumo di prodotti animali. Questo aspetto per alcune persone può effettivamente costituire un problema.

Tuttavia al riguardo c'è anche qualche buona notizia. E' possibile sostituire molti tipi di carne con gli analoghi 100% vegetali come hamburger di varia composizione (con tofu, seitan, cereali, legumi, verdure, alghe), hot dog, salsicce, affettati di vario tipo… E’ inoltre possibile emulare spezzatini e ragù utilizzando prodotti senza crudeltà e molto più salutari, perché sono senza colesterolo e con molti meno grassi rispetto a quelli animali. Molti vegetariani e vegani li trovano altrettanto gustosi, altri arrivano addirittura a preferirli.

Tenuto conto che le alternative ai prodotti animali di fatto esistono, non si tratta dunque di rinunciare a qualcosa che ci piace, bensì di indirizzare le nostre scelte alimentari verso prodotti sostitutivi senza crudeltà. Sarà così possibile vivere ancora i bei momenti del passato con altrettanta intensità, ma senza più imbandire le nostre mense di sangue e di morte.


La fase di transizione

Nella fase di transizione può accadere, soprattutto all'inizio, di avvertire ancora, di tanto in tanto, l'attrazione per qualche prodotto animale in precedenza particolarmente apprezzato. Di solito però siamo ampiamente ricompensati dalla soddisfazione e dalla gioia di vivere in accordo con i nostri più alti principi, dalla consapevolezza che nessun animale deve morire per soddisfare la nostra gola e dal profondo senso di condivisione che sviluppiamo con il resto del mondo animale.

Per un vegano che ha fatto questa scelta principalmente per motivi etici di rispetto verso gli animali, solitamente è facile resistere alle tentazioni: gli è sufficiente pensare agli animali e alle loro sofferenze, gli basta guardarli profondamente negli occhi e sapere di non essere più il loro carnefice. Quando vediamo una bistecca o una fetta di prosciutto adesso "sappiamo" molto più lucidamente di prima che si tratta di un animale fatto nascere e ucciso appositamente per essere mangiato: l'associazione è ormai immediata e la nostra mente non trova più giustificazioni.

E’ motivo di grandissima gioia sapere che nessun animale dovrà più morire per noi, né soffrire per noi, né essere maltrattato o privato della libertà e dei propri figli (come avviene normalmente per le mucche da latte) allo scopo di fornirci prodotti di cui in realtà possiamo benissimo fare a meno. Per molti di noi col tempo la carne smette di essere cibo, così come accade poi anche per gli altri prodotti animali. E' solo l'abitudine che li ha resi commestibili ai nostri occhi e al nostro palato, pertanto abitudini differenti hanno il potere di trasformare i nostri gusti e le nostre percezioni.

Col tempo diventa sempre più semplice liberarsi da ogni cedimento e in molti vegani e vegetariani si sviluppa addirittura una naturale avversione verso i vari prodotti animali, un senso di rifiuto e talvolta anche di repulsione verso "cibi" non più avvertiti in sintonia con le proprie scelte di vita. Cambiano i punti di vista, le percezioni e le reazioni, così come il nostro rapporto con il resto del complesso vivente. Diventiamo più sensibili e percettivi, spesso anche molto insofferenti verso la sistematica e brutale violenza esercitata dagli umani sugli animali e sulla natura. Ne avvertiamo tutta l'assurdità, la futilità - e l'inutilità! Per questo veniamo talvolta bollati come estremisti dalle persone più reazionarie, perché nella società attuale il rispetto generalizzato per la vita viene avvertito come inopportuno e inaccettabile, mentre per noi, ora, l'estremismo è rappresentato dal calpestare e distruggere sistematicamente la vita. Posizioni dolorosamente inconciliabili, ma con cui dobbiamo nostro malgrado imparare a convivere, anche se non è facile.

Va inoltre segnalato che vi sono anche persone che arrivano a rifiutare la carne in maniera del tutto spontanea e naturale: semplicemente essa non esercita più alcuna attrattiva gastronomica su di loro. Il numero di queste persone sul totale dei vegetariani e dei vegani non è affatto trascurabile.


Come avvicinarsi a un’alimentazione senza crudeltà

Non basta acquistare un libro di ricette vegan per diventare vegani o vegetariani; occorre anche sapersi mettere in discussione ed essere disposti a cambiare le nostre abitudini, il nostro stile di vita e i valori su cui avevamo fondato in precedenza la nostra esistenza. Per inciso questo processo avviene pressoché automaticamente in coloro che si avvicinano al veganismo per motivazioni etiche di rispetto verso gli animali - e perciò non lo fanno per moda e non torneranno sui loro passi. 

Durante questo processo di trasformazione si sviluppa un nuovo senso di scoperta, di rinnovamento, di crescita, di appartenenza ad un contesto più vasto, di divertimento e anche di profonda gioia e soddisfazione. Si sente di vivere finalmente in sintonia con i propri valori più profondi, in armonia con la vita. Si imparano a cucinare nuovi piatti, ci si avvicina ad un'alimentazione più sana, a un rapporto infinitamente più equilibrato e rispettoso verso gli animali. Dopo aver verificato sul campo che non solo si è in grado di sopravvivere, ma di godere nel complesso di una miglior salute e di più energia, si supera l'ansia sull'adeguatezza della nostra nuova alimentazione e si diventa confidenti nella bontà e correttezza delle nostre scelte. A questo punto accade l'inevitabile: ci si trasforma in "veri" vegani.

Dopo questo passaggio diventa del tutto normale evitare la carne e i prodotti animali, la sola idea di mangiarli ci fa sentire simili ai cannibali e non avvertiamo più la differenza netta tra carne umana ed animale, dato che è pur sempre carne. Ora siamo davvero consapevoli, con tutto il nostro essere, che si tratta solo di una differenza di grado ma non di genere.

A questo punto la transizione è veramente completata.




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