Gli uomini, la guerra e gli animali
di Erasmo da Rotterdam, da Bailador
redatto e diffuso da Paolo Ricci
Quale fu dunque questo malfatto?
Ebbene non ebbero scrupolo a divorare i cadaveri degli animali, di lacerarne a morsi la carne esanime, di berne il sangue, di suggerirne gli umori, e di seppellirsi viscere nelle viscere, come dice Ovidio.
L’atto apparve sì disumano alle nature più mansuete, ma s’impose grazie al bisogno e alla convenienza. (Anche in mezzo ai piaceri e ai godimenti l’evocazione del cadavere cominciò a incontrar gradimento. Ti seppelliscono la carne sotto una crosta, te la aromatizzano con spezie, te la decorano con un epitaffio: “qui giace un cinghiale”, “qui è sepolto un orso”. Che cadaverici piaceri!).
Si arrivò anche più in là. Dagli animali feroci si passò alle bestie innocue.
Si cominciò dappertutto a infierire sulle pecore animali senza frode né inganno. Sulla lepre, colpevole soltanto di essere saporita.
Non si risparmiò il bue domestico, che aveva lungamente nutrito col suo lavoro l’ingrata famiglia; non ci si astenne da nessuna razza di uccello né di pesce; e la tirannide della gola arrivò al punto che nessun animale fu più in grado di sottrarsi alla caccia spietata dell’uomo, dovunque si mettesse al riparo.
Un altro effetto ebbe la consuetudine: consentì di usare crudeltà contro ogni specie vivente, senza percepirla come tale purché ci si astenesse dal colpire l’uomo.
Ma succede con il vizio come col mare: si può forse impedirgli di rompere, ma porgli un argine una volta che ha rotto non è in potere di nessuno.
L’uno come l’altro, una volta dentro, non sottostà alla nostra volontà, ma è portato avanti dalla sua forza d’urto.
Il tirocinio che abbiamo descritto fu un addestramento all’omicidio; fatto l’addestramento, fu un addestramento all’omicidio: fatto l’addestramento uno scatto d’ira indusse l’uomo a colpire il suo simile con un bastone, con un sasso, con un pugno (giacché ancora non si disponeva, suppongo di altre armi).
E a forza di sterminare animali, s’era capito che anche sopprimere l’uomo non richiedeva un grande sforzo.
Pitagora, quel gran savio, aveva senza dubbio previsto questo esito, quando con un espediente filosofico cercava di distogliere la moltitudine ignorante dall’uccidere animali.
Egli intuiva che l’uomo abituato a versare, senza minima provocazione, il sangue d’una bestia innocua, non avrebbe esitato, in balia della collera e sotto lo stimolo della provocazione, a sopprimere il suo simile.
Ancora un passo, e siamo alla guerra. Che cos’è la guerra?
Un omicidio collettivo, di un gruppo; una forma di brigantaggio tanto più infame quanto più estesa. Ma questo genere di riflessioni muove a riso e a scherno di stolidi personaggi che stanno oggi al vertice: son farneticamenti da maestri di scuola, sentenziano, sentendosi al livello di Dio (e non sono neanche a livello d’uomo, se non perché hanno una faccia).
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