Lettera aperta sul mangiar carne
Editoriale tratto dal quindicinale telematico sulle politiche dei consumatori, edito da Aduc - associazione per i diritti degli utenti e consumatori
N.6/2002 (Anno V) del 15 marzo 2002
Rubrica La pulce nell'orecchio
Redazione: Via Cavour 68, 50129 Firenze - tel. 055290606 fax 0552302452 URL: http://www.aduc.it - Mailto: aduc.it@aduc.it
Lettera aperta alle Chiese Cristiane
Una riflessione sul mangiar carne e sul rapporto con gli animali
di Annapaola Laldi
Poche settimane fa, la notizia che una giovane donna italiana ha contratto il morbo di Creutzfeldt-Jacob, la versione umana dell'encefalopatia spongiforme bovina (BSE), comunemente nota come "morbo della mucca pazza" ha riportato per alcuni giorni l'attenzione dei mezzi di comunicazione sulla realtà e la costante attualità di questa grave minaccia. Le dichiarazioni rilasciate dalle diverse autorità competenti in materia sono risultate, a una lettura attenta, alquanto contraddittorie e confuse; più che rassicurare, sono lì a dimostrare che, purtroppo, in questo campo non possono esservi certezze tranquillizzanti. Troppo elevate le cifre in gioco (degli animali infettati, delle partite di carne infetta già consumate e forse in via di consumazione, dei capitali investiti nell'allevamento di massa degli animali), troppo lungo il periodo di incubazione del morbo, ancora limitate le conoscenze scientifiche. La realtà è questa, e la conosciamo grazie alle diverse e molteplici informazioni diffuse specialmente nell'inverno 2000/2001, quando l'argomento fu classificato -cosa veramente eccezionale- "di attualità" per diversi mesi.
Il punto, però, è che esso è di attualità ogni giorno, anche quando nessun organo di informazione ne parla, e soffermarsi su di esso sembra essere la cosa più ragionevole da farsi nella semplice ottica della salvaguardia della salute sia della singola persona sia della collettività.
Detto questo, viene da chiedersi se un'epidemia così grave, una minaccia così incombente, che riguarda soprattutto quella parte di umanità che vive nei paesi ricchi, non possa essere considerata un segnale, un richiamo di attenzione su un modo di vivere che diamo per scontato, ma che a questo punto chiede con forza di essere messo in dubbio e sottoposto a un'attenta analisi.
In altri termini, siamo davvero sicuri di poter continuare a disporre a nostro piacimento della vita di altri esseri senzienti come sono gli animali di cui abbiamo l'abitudine millenaria di cibarci - siano essi mammiferi, volatili, pesci o crostacei?
Non potrebbe darsi che IN QUESTO MOMENTO STORICO e IN QUESTA PARTE DELLA TERRA ci venga richiesto di cambiare abitudini e tradizioni che certamente sono radicate dentro di noi, ma seguire le quali sta diventando, appunto, sempre più pericoloso? E, beninteso, non c'è solo la BSE - che basterebbe ampiamente a giustificare questo interrogativo -, ma c'è anche l'afta epizootica, la peste suina, il morbo della lingua blu... e gli animali che possono esserne colpiti non sono soltanto i bovini, ma anche i suini, gli ovini, i volatili...
Per non parlare degli ormoni e degli antibiotici somministrati agli animali, che passano nel nostro organismo mandandolo in crisi su diversi fronti.
Restando ancora sul piano della salvaguardia della salute, ci dobbiamo porre anche un altro interrogativo: quando mangiamo la carne di un animale, in realtà, non mangiamo anche il suo stress per un tipo di allevamento che non rispetta minimamente le sue necessità etologiche? Non mangiamo anche la sua angoscia di fronte alla morte? Non sembrino domande peregrine. Le attuali conoscenze scientifiche confermano quanto può suggerirci anche la semplice intuizione: con la carne dell'animale mangiamo infatti pure l'adrenalina scaricata nell'organismo in prossimità della morte o anche dello stordimento, che, comunque, è un atto di violenza e dà sofferenza all'animale. A questo proposito salta agli occhi una cosa interessante: per alcune civiltà definite primitive cibarsi di carne - animale ma anche umana - significava assumere la forza, l'energia, lo spirito che albergava in quel corpo. Oggi sappiamo che, in realtà, ne assumiamo il terrore di fronte alla morte. Non è un qualcosa degno di riflessione? Che effetto può fare, materialmente, dentro di noi? Si possono ipotizzare, anche se non sappiamo come, degli effetti sul piano morale e spirituale? Ci abbiamo mai pensato seriamente?
Un'altra considerazione che s'impone a chi intende vivere con un minimo di attenzione e di discernimento è quella relativa al rapporto che esiste fra il consumo di carne nel mondo ricco e la fame nel resto del mondo.
Fonti governative statunitensi e della Banca Mondiale forniscono, fra l'altro, i seguenti dati: negli USA gli animali consumano il doppio di cereali dell'intera popolazione di quel paese e il 70% della produzione cerealicola è usata per la loro alimentazione; in tutto il mondo sono circa 600 milioni le tonnellate di cereali impiegate nell'allevamento degli animali, soprattutto bovini; se questa quantità di cereali fosse impiegata per l'alimentazione umana, verrebbero nutrite un miliardo di persone. E' dunque assodato che l'attuale modo di allevare il bestiame è direttamente responsabile della fame a cui gran parte dell'umanità è condannata. Su questa nostra cultura della carne occidentale gravano quindi i cinquanta milioni di morti per fame all'anno, e anche il miliardo e mezzo di popolazione mondiale che sopravvive - denutrita - con meno di un dollaro al giorno.
Sono tutte cose che in teoria si sanno bene e che numerose pubblicazioni e circostanziati documenti - anche delle Chiese cristiane in Italia- non dimenticano di sottolineare.
Ma, in questo campo, si può andare un po' più in là della semplice denuncia e della generica richiesta di solidarietà? Si può riuscire a ipotizzare o addirittura a compitare quella dolorosa, dura realtà che ciascuno di noi è direttamente responsabile di questo stato di cose nella misura in cui continua a sostenere la moderna industria dell'allevamento, quando potrebbe evitare di mangiare carne, o almeno ridurne il consumo, senza rischio per la propria salute, anzi, per quello che si è detto prima, anche con un sicuro vantaggio?
Un altro aspetto legato a doppio filo col precedente e un'altra dura realtà da guardare in faccia è il fatto - anch'esso inconfutabile - che il moderno allevamento specialmente dei bovini, ma non solo di essi, ha un impatto tremendo sull'ambiente, sia in termini di distruzione delle foreste pluviali (Amazzonia, ad esempio) per far posto ai pascoli necessari a fornire la carne alle diverse catene di fast food, sia in termini di produzione diretta o indiretta di gas serra. In "Ecocidio", Jeremy Rifkin, dopo aver osservato, dati ufficiali alla mano, che:
"Oggi, negli Stati Uniti, per produrre mezzo chilogrammo di carne bovina è necessaria l'energia equivalente a quattro litri di benzina. Per il fabbisogno annuo di una famiglia media di quattro persone servono più di 1100 litri di combustibili fossili, il cui consumo rilascia nell'atmosfera 2,5 tonnellate di anidride carbonica: tanta quanta ne emette, in media, un'automobile in sei mesi di normale esercizio" (p. 256),
conclude che:
"Ogni chilogrammo di carne bovina è prodotto a spese di una foresta bruciata, di un territorio eroso, di un campo isterilito, di un fiume disseccato, del rilascio nell'atmosfera di milioni di tonnellate di anidride carbonica, monossido di azoto e metano" (p. 258).
Davvero, dunque, la distruzione dell'ambiente, della nostra unica terra, è qualcosa su cui non possiamo incidere, che non sta a noi contribuire a fermare? O ne portiamo direttamente, uno per uno la responsabilità proprio nel mantenere le nostre abitudini che consideriamo così innocue? Noi continuiamo a chiederci: "Che ci posso fare?", e non c'è risposta. E' meglio, forse, provare a chiederci: "Che cosa posso non-fare?".
E, arrivando alla fine di questa panoramica, ecco la considerazione più rilevante, che dovrebbe rivestire un particolare interesse per tutti coloro - singoli individui o gruppi - che ritengono necessaria una maggiore umanizzazione dell'essere umano (onestamente ancora un po' rozzo e immaturo quanto a sensibilità), fra i quali certamente si annoverano i cristiani con le loro Chiese.
Si tratta del tema della compassione, del senso di misericordia rivolto verso gli animali in quanto esseri senzienti, e capaci, come affermano ormai concordemente gli studiosi, anche di provare sentimenti molto vicini a quelli che, fino a poco tempo fa, ritenevamo monopolio degli esseri umani.
Ancora una volta è la minaccia della BSE a metterci di fronte alle immagini raccapriccianti dello sterminio di massa dei bovini avvenuto tempo fa in Gran Bretagna, ma non solo. In primo piano la massa scura delle migliaia di bovini uccisi, sullo sfondo il bagliore del rogo, al margine qualche figura umana dall'aspetto di fantasma, il tutto avvolto in un'atmosfera greve e certamente maleodorante; nauseabonda in tutti i sensi della parola. Che sentimenti abbiamo provato? E' un buon test per misurare il nostro grado di umanità.
Ma quelle immagini non sono la testimonianza di un episodio isolato, una specie di pur doloroso, ma eccezionale "una tantum". Bisogna chiedersi con molta serietà se quest'olocausto, come qualcuno, con perfetta attinenza letterale, lo ha chiamato, non possa essere il logico risultato, addirittura parte integrante, di tutto un modo di concepire il rapporto fra l'essere umano e l'animale, che ha certamente una storia che si perde nella notte dei tempi, ma che proprio per questo, adesso, è venuto il momento di illuminare.
Quella concezione, cioè, dell'animale come mero strumento al nostro servizio, che porta a usarlo, senza il minimo rispetto per la sua sensibilità, la sua sofferenza, la sua paura, anche per i più futili motivi, quali le feste più o meno paesane, molte delle quali, rincresce dirlo, a sfondo religioso.
Dov'è qui la compassione?
Non hanno, anche gli animali, diritto all'umana compassione?
E se ci fosse un dubbio sulla liceità della parola "diritto" a proposito degli animali, ebbene, allora s'impone un'altra domanda ancora più seria: può la compassione agire a corrente alternata? O essa è un qualcosa che, se esiste, agisce sempre? Può essere corretto ipotizzare che se la compassione esiste, c'è per tutto e per tutti, e, se non c'è per qualcuno, allora non c'è per nessuno, nemmeno per gli altri esseri umani, nemmeno, addirittura, per quelli che chiamiamo i nostri cari?
A me - lo ripeto - pare che queste domande abbiano una logica e rivestano un minimo di interesse proprio per chi ha a cuore il benessere, in tutti i sensi, degli esseri umani come singole persone e comunità -da quella più piccola alla più vasta comunità umana nel suo insieme. E fra chi afferma con forza di avere a cuore una cosa del genere vi sono le comunità religiose.
E' per questo che, essendo italiana ed essendo stata educata nella tradizione cristiana, indirizzo espressamente queste considerazioni anche alle Chiese cristiane che sono in Italia, lasciando per il momento da parte altre confessioni religiose, di cui so ancora troppo poco. Ho infatti l'impressione che le Chiese cristiane possano e debbano - INSIEME A TUTTI GLI ALTRI - dare un loro contributo specifico per una valutazione critica della cultura della carne - se possibile, anche per una concreta presa di distanza da essa -, e, più ampiamente, per il superamento della visione dell'animale quale "oggetto" di cui disporre senza limiti. Infatti, l'idea che gli animali esistano per servire gli esseri umani e siano abbandonati al loro arbitrio affonda senza dubbio le proprie radici in una visione del mondo che risale a una determinata interpretazione ecclesiastica di alcuni passi biblici. Dato che questa visione del mondo ha tutta l'aria di dare frutti sempre più avvelenati, è lecito chiedere a tali Chiese di prendere la parola in modo da chiarire eventuali fraintendimenti o far conoscere eventuali aggiornamenti dell'esegesi biblica su questo tema. D'altra parte, è noto che vi sono differenze notevoli d'interpretazione non solo in seno alla cristianità (gli Avventisti, a quanto ne so, non mangiano carne), ma anche all'interno di una stessa confessione (nel cattolicesimo mi consta che vi sia sempre stato anche un filone di pensiero - messo a tacere e perseguitato come eretico - che vede l'essere umano non al di sopra degli animali, ma ACCANTO a loro, sia pure con proprie peculiarità. E da qualche tempo ha ripreso vigore anche la domanda, che fu forse Giovanni Scoto Eriugena il primo a formulare compiutamente nel IX secolo, non solo se gli animali abbiano un'anima, ma se anch'essa non debba essere, per forza di cose, immortale).
La responsabilità, a cui mi pare richiami con pressante urgenza la realtà della BSE, non è certamente quella di formulare nuovi dogmi o ideologie, bensì quella di aprire un'indagine a tutto campo e senza pregiudiziali per acquisire consapevolezza dei costi planetari delle nostre abitudini, imparare a verificare la reale necessità di esse, riscoprire usi alimentari e modi di rapportarsi alle altre specie animali che, praticati o intuiti in passato, sono stati rimossi, e infine -perché no?- per inventarne di nuovi che si rivelino più lungimiranti e rispondenti alle attuali esigenze di sopravvivenza anche della vita umana sul nostro pianeta.
Annapaola Laldi
APPENDICE:
Una piccolissima bibliografia sull'argomento:
JEREMY RIFKIN, "Ecocidio", Mondadori, Milano 2001 (da questo libro sono tratti i dati del governo USA e della Banca mondiale);
EUGEN DREWERMANN, "Sull'immortalità degli animali. Una speranza per la creatura che soffre", Neri Pozza, Vicenza 1997, € 8,26;
IDEM, "C'è speranza per la fede?", di imminente pubblicazione per i tipi della Casa editrice Queriniana di Brescia (contiene riflessioni sull'argomento);
Charles Birch - Lukas Vischer, "Vivere con gli animali. La comunità delle creature di Dio". Claudiana, Torino 1999, pp.116, € 7,74
PAOLO DE BENEDETTI, "E l'asina disse….", Qiqajon, Magnano (Bi) 1999, € 5,00;
AA.VV. "Il pensiero religioso e gli animali: viaggio alle radici di un difficile rapporto" - si tratta dei contributi al convegno organizzato il 24 febbraio 2001 a Firenze dal "Movimento UNA" (Uomo Natura Ambiente) e si può ricevere gratuitamente inviando un fax allo 055/848567 oppure una e-mail a una@newnet.it specificando ovviamente nome, cognome e indirizzo postale.
Sempre il "Movimento UNA", a quanto mi consta, ha organizzato un analogo incontro a Napoli il 2 marzo 2002.
L'indirizzo del Movimento è: Via Provinciale, 1/a - 50037 San Piero a Sieve (Fi) - tel. 055/848341.
L'indirizzo telematico è www.unaecoanimali.it .
Si ringrazia Annapaola Laldi per l'articolo pubblicato su questo sito.
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