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Miliardi di sussidi per gli agro-carburanti

Il sostegno europeo e americano agli agrocarburanti, ricavati da colture agricole, è ormai multimiliardario.
Non sono carburanti così «verdi», sia perché alla fine il risparmio netto di emissioni di anidride carbonica (gas serra) è ridotto, sia anche perché le colture agroenergetiche usano risorse idriche preziose, aumentano l'uso di pesticidi e la deforestazione nei paesi tropicali, rendono conveniente la coltivazione di aree fragili e fanno concorrenza alla destinazione alimentare dei suoli.

Al tema dei sussidi l'organizzazione svizzera International Institute for Sustainable Development, con la sua Global Subsidies Initiative (Gsi), ha dedicato una serie di studi intitolati Biofuels at What Cost? Government Support for Ethanol and Biodiesel («Biocarburanti a quale costo?»).
L'analisi rivela che il sostegno governativo agli agrocarburanti nel 2006 è ammontato a 11 miliardi di dollari all'anno nei paesi «ricchi», quelli dell'Ocse, proprio l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che mesi fa ha invitato alla prudenza sugli agrocarburanti. Oltre il 90 per cento di questi sussidi sono stati elargiti dai governi europei e da quello statunitense.

Sarà dunque molto interessante vedere cosa accadrà sul fronte delle colture energetiche in Germania, il paese che finora ha visto la crescita maggiore in Europa della produzione di biodiesel (ma sarebbe meglio dire «agrodiesel»), soprattutto dalla colza. La situazione è destinata a cambiare perché, in controtendenza rispetto all'Ue, la Germania ha cominciato a tassare l'agrodiesel. Come scrive l'agenzia stampa internazionale Inter Press Service, «se in passato nel paese le esenzioni fiscali più i sussidi per questo settore arrivavano a un equivalente di tre miliardi di dollari l'anno, con le nuove tasse il governo riceverà 9 cent di dollaro per litro di agrodiesel e la tassa arriverà a oltre 65 cent nel 2012. L'inevitabile aumento di prezzi del prodotto finale fa prevedere un declino nella domanda».

Finora in Germania le esenzioni fiscali erano state generose anche perché regnava la convinzione che gli agrocarburanti potessero dare un grande contributo al contenimento dei gas serra. In pochi anni la produzione è arrivata a 3,4 milioni di tonnellate. Sono coltivati a colza un milione di ettari: il 10% della superficie agricola nazionale (fino al 20% in alcune regioni, come Mecklenburgo-Pomerania occidentale).

Gli ambientalisti sono sempre stati critici. Il portavoce di Greenpeace Michael Hopf ha fatto un po' di calcoli: un ettaro dà 3,5 tonnellate di colza all'anno, che si possono convertire in circa 1.150 litri di agrodiesel; ma queste rese eccezionali avvengono solo ogni quattro anni e la media per anno è di 280 litri a ettaro.

Così, se si destinasse la metà del suolo agricolo tedesco alla coltivazione di colza per l'agrodiesel, se ne otterrebbero 1.500 milioni di litri: meno del 5% dell'annuale consumo di benzina nel paese. Dalla stessa superficie si possono invece ricavare 6,8 milioni di tonnellate di grano o oltre 40 milioni di tonnellate di patate; insomma, anche la Germania - non solo i paesi del Sud del mondo - deve decidere se produrre cibo per le persone o cibo per le automobili.

In realtà la colza tedesca già subiva la concorrenza della colza importata, molto più economica. Le misure governative che imponevano un mix di almeno il 5 per cento con la benzina avevano stimolato l'import. Il che fa parte del noto problema: foreste tropicali espiantate per esportare le materie prime necessarie alla scelta europea degli agrocarburanti. Del resto uno studio dell'Istituto per l'ambiente di Amburgo, presentato alla fine di novembre, ha concluso che la riduzione dei gas serra dovuta all'uso di agrocarburanti è «trascurabile» anche senza tenere conto dell'ossido di azoto (un altro gas serra) provocato dall'uso di fertilizzanti azotati nelle colture, e soprattutto delle conseguenze ambientali della deforestazione «d'importazione», dovuta all'espansione delle aree coltivate a soia e colza.

Marinella Correggia
Gennaio 2008
Fonte: www.il manifesto.it



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