I numeri del Grande Macello
di Marco Lorenzi (lormar@comm2000.it)
Pecunia non olet. Il denaro non ha odore, neppure quello del sangue. Questo potrebbe essere lo slogan dei businessmen del “Grande Macello” che in questi giorni ha invaso i programmi televisivi e le pagine dei giornali, mostrando ai consumatori di carne l’altra faccia della “irrinunciabile” fettina.
I consumatori non si rendono conto in genere degli aspetti economici della produzione di carne, aspetti che li coinvolgono direttamente non solo in quanto consumatori, ma anche come contribuenti. Le dinamiche degli interessi economici sono alla base di tutte le scelte politiche e queste scelte possono determinare molti aspetti della nostra vita come la qualità del cibo che mangiamo o il suo costo e chi lo deve pagare.
Quanto forti sono gli interessi economici della produzione di carne e quanto questi interessi possono condizionare le politiche economiche dei paesi e, in definitiva, quanto possono limitare i diritti e gli interessi legittimi dei consumatori? Indubbiamente moltissimo. Vediamo perché.
Pensiamo al gruppo Cremonini, leader italiano della produzione di carne, fornitore delle polpette per McDonald’s e per i principali fast food italiani, gestore della ristorazione sui treni delle FS, 2500 miliardi di fatturato, 8000 dipendenti e soprattutto produttore di 20.000 tonnellate di hamburger ogni anno, per non parlare delle decine di migliaia di tonnellate di altre carni prodotte. L’impero del “Grande Macellaio” arriva fino a controllare oltre 30 società finanziarie, immobiliari, commerciali e di distribuzione.
Perfino l’Harry’s Bar di Roma è di proprietà del “re della polpetta” che, invitato in persona da Bruno Vespa nella puntata di Porta a Porta sul caso mucca pazza, ha potuto dire di fronte a milioni di italiani -e senza neppure essere contraddetto- che è grazie alla carne se gli italiani hanno una salute migliore.
Forse sarebbe stato meglio dire che è “grazie” alla carne se gli italiani (come tutti gli occidentali) muoiono di infarto, ictus o diabete, cancro con le arterie ingolfate di colesterolo e grassi animali e che è proprio il consumo di prodotti animali che aumenta fortemente l’incidenza di queste patologie.
Inutile dire che di vegetarismo si è parlato solo per scherzare e che a nessuno sono venute in mente per un solo secondo le immani sofferenze degli animali nei macelli. Ma tant’è: è meglio dire ai consumatori solo quello che vogliono sentire, così aumentano l’audience e i guadagni dei Grandi Macellai...
L’economia della carne (e non solo della carne per la verità) ha risvolti davvero curiosi. La massaia che è convinta che il costo del filetto che compra sia solo quello che lei paga al macellaio. Il vegetariano è convinto che gli allevatori e macellai non vedranno mai una lira delle sue. Entrambi si sbagliano.
I carnivori pagano due volte la carne che mangiano: quando la comperano e quando, come i vegetariani, pagano le tasse allo Stato che, come al solito senza chiedere il parere dei cittadini, ha deciso di favorire con forti finanziamenti i produttori di carne.
L’emergenza “mucca pazza” che in questi giorni è ritornata alla ribalta, comporterà altre spese per i contribuenti. La regione Lombardia ha già deciso di aiutare gli allevatori (con i soldi dei contribuenti lombardi) pagando il 60% dei costi per lo smaltimento delle carcasse degli animali morti in stalla. Sembra una farsa: gli allevatori usano metodi di allevamento intensivi che inevitabilmente aumentano la sofferenza degli animali solo per guadagnare di più e quando la sofferenza diventa insopportabile per quei “fortunati” animali che muoiono prima del macello, sono i contribuenti a pagare i “danni” agli allevatori, danni dovuti alla loro stessa ingordigia.
Una cosa simile è avvenuta nel 1999 quando, dopo lo scandalo dei polli contaminati dalla diossina perché i produttori volevano massimizzare i profitti alimentando gli animali con scarti di produzione industriale, la Commissione Europea ha autorizzato prestiti agli allevatori per quasi 620 milioni di Euro.
Le conseguenze dell’epidemia di BSE per il momento si sono fatte sentire soprattutto in Inghilterra, unico paese che ha elaborato una precisa quantificazione dei danni economici (quelli per la salute umana sono ancora largamente imprevedibili). Nel Regno Unito lo stato (e quindi i contribuenti) si è fatto carico nei primi tempi della metà dei danni degli allevatori e dal 1990 del 100% di essi, tanto che secondo il rapporto “The BSE Enquiry” presentato al parlamento inglese il 22 dicembre 1997, “…nel complesso [i danni] sono stati per la maggior parte compensati […] dagli interventi dello stato”.
La logica che sta alla base di queste scelte di politica economica è piuttosto semplice. Tutto si riduce ad un gioco di conflitto di poteri economici in cui la difesa degli interessi maggiori prevale sulla difesa degli interessi minori, incluso quello dei cittadini a veder tutelata la loro salute. Non ha molta importanza la legittimità degli interessi, quello che conta è solo il potere dell’interessato.
Troppo pessimista? Non credo. Del resto non si vede quali altre spiegazioni si possono dare constatando che tutti gli stati occidentali cercano di incentivare la produzione -e quindi il consumo- di prodotti animali, sebbene esso abbia raggiunto livelli tali da diventare un problema sanitario prioritario. Non è semplicemente possibile che i politici non siano consapevoli dell’impatto per la salute dei cittadini di un consumo di carne come quello dei paesi industrializzati.
I dati scientifici ormai parlano chiaro. Una coraggiosa ricerca pubblicata nel 1995 sulla rivista americana Preventive Medicine e intitolata “The Medical Costs Attributable to Meat Consumption” ha stimato che ogni anno i costi sanitari per lo stato americano del consumo di carne è pari ad una cifra compresa tra i 28.6 e 61.4 miliardi di dollari. Questo senza contare il valore, incalcolabile in termini monetari, delle sofferenze e dei decessi delle persone affette da patologie degenerative causate dal consumo di carne. Decine di miliardi di dollari di danni alla salute degli americani e il governo USA fa quello che fanno i governi europei e la UE: promuove la causa di questi danni. Sembra assurdo e lo è.
Tra le cause di queste assurdità vi sono anche le leggi della macroeconomia. Vediamo il perché.
Favorire i produttori di carne significa incentivare il consumo di carne che a sua volta significa un incremento inutile della spesa alimentare essendo la carne più cara dei prodotti vegetali. Come abbiamo visto significa anche un aumento della mortalità e della morbilità per alcune patologie che a sua volta comporta anche un aumento del consumo di farmaci, delle spese per la ricerca medica, oltre che un aumento dei danni ambientali causati dall’agricoltura e dalla zootecnia intensiva.
Tutto questo ha paradossalmente due conseguenze molto diverse: da una parte vi è un minore benessere per i cittadini, dall’altro si ha un aumento del PIL (Prodotto Interno Lordo), cioè il più importante indicatore dell'economia di un paese. Il PIL è però un indicatore molto imperfetto del vero benessere di un paese. Nel PIL infatti si assommano sia il valore p.e. dei videoregistratori prodotti che, per assurdo, il valore dei quintali di policlorobifenili (composti altamente tossici e cancerogeni) prodotti e sparsi nell'ambiente.
Similmente la produzione e il consumo di milioni di tonnellate di carne aumenta il PIL e fa sì che una nazione appaia più ricca, nonostante le conseguenze per la salute e il benessere dei cittadini siano drammatiche.
Purtroppo l’economia è fatta di numeri e tra i numeri che contano davvero non ci sono né i morti per tumore all’intestino o per ictus né, tanto meno, le sofferenze inflitte a miliardi di animali, vittime del profitto ad ogni costo. Forse è vero che il denaro non ha odore, ma il sangue delle sue vittime ce l’ha e ci sta asfissiando.
Si ringrazia Marco Lorenzi per l'articolo pubblicato su questo sito.
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