Il dolore negato all'animale
di Franco Libero Manco
Il cacciatore spara ad un uccello, la micidiale fucilata gli frantuma parte del corpo ed un’ala e geme in un dolore incomprensibile senza possibilità di essere aiutato, perché ogni animale è solo nell’universo. Immaginiamo un essere umano che ha subito lo stesso danno: un colpo di fucile gli ha spappolato un braccio e il torace ed è solo in un deserto senza possibilità di aiuto mentre spasimante vede la morte avvicinarsi. La stessa sorte di un pesce dilaniato da un arpione, dall’amo, issato nelle reti a morire d’asfissia, bollito vivo o arrostito ancora vivo su una piastra infuocata o spasimare nel ghiaccio del bancone.
Immaginiamo un vitellino separato dalla madre dopo poche settimane di vita e relegato in una gabbia metallica dove non ha possibilità di muoversi, di vedere la luce del sole, l’erba dei prati. Proviamo ad immaginare la stessa sorte ad un bambino nato in un ascensore e costretto a vivere nei suoi stessi escrementi e dove gli è negato il latte ed il contatto materno e la sua indomabile necessità di correre, giocare. La stessa sorte è quella di una scrofa in una gabbia grande quanto il suo corpo con i piccoli attaccati alle mammelle che subiranno lo stesso destino.
La vita media di una mucca è di 25-30 anni, ma una mucca destinata a produrre latte dopo 5 anni viene condotta al macello, cioè ad un quinto della lunghezza della sua vita naturale che è come se una bambina di 13 anni appena fertile venisse ripetutamente ingravidata costretta a partorire a ripetizione finché spompata ed esausta viene uccisa, cioè all’età di appena 18 anni.
Per capire la paura, l’angoscia, il terrore che prova un animale caduto sventuratamente nelle mani dell’uomo bisognerebbe subire la stessa sorte? Che razza di umano è quello che con mostruosa non curanza macina vivi i teneri pulcini appena nati non adatti alla produzione di uova? Pensiamo agli agnellini, ai conigli, alle oche, ai tacchini, ai polli, ai tori nelle arene per divertire un pubblico retrogrado assetato di sangue e di violenza, ecc. ecc.
Se nelle periferie delle città vi fossero campi di sterminio di esseri umani considerati di serie b, fatti nascere e crescere in una condizione infernale per poi essere squartati e mangiati; se si accettasse questa orrenda ipotesi il danno che ne deriverebbe sulla mentalità e sulla coscienza sarebbe devastante. Considerato che la medesima sorte è applicata agli animali, capaci come gli umani di avere sentimenti, di provare dolore, angoscia, terrore, accettare, condividere e richiedere questa realtà genera inevitabilmente una mentalità di egoismo, di distruzione, di disprezzo verso la vita e verso il dolore in senso lato.
Con questa mentalità e coscienza comune come si può sperare che l’umanità si liberi delle guerre e della violenza personale? La sua natura è pregna di insensibilità e mancanza di compassione e finché non la smetterà di assoggettare e sterminare ogni forma di vita dovrà solo rassegnarsi a subire lo stesso inferno che causa agli animali.
Il concetto disarmante è se l’essere umano non ha rispetto e compassione dei suoi simili non si può pretendere che l’abbia per gli animali. Questo l’errore più grosso dell’essere umano, quello di non capire che dall’abitudine a non considerare la sofferenza del diverso (fisicamente) viene la tendenza agli umani di non avere pena neanche per i suoi simili.
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