Anche i maiali piangono
Dalle ricerche finanziate dalle società del fast food agli studi sul campo degli etologi, è dimostrato che tutti gli animali provano emozioni e hanno capacità di apprendimento
di Jeremy Rifkin (*)
Mentre la maggior parte delle discussioni sulle grandi tematiche scientifiche di quest'anno verteva principalmente sulle nuove scoperte nel campo delle nanotec nologie, sul computer e su domande esoteriche come l'età del nostro universo, dietro le quinte dei laboratori sparsi per il mondo si è andata rivelando una storia più pacata: una storia il cui impatto sulla percezione umana e sulla nostra comprensione del mondo che ci circonda diventerà probabilmente ancora più forte. E, cosa ancora più strana, gli sponsor della ricerca sono McDonald's, Burger King, KFC e altri produttori di fast food. Pressati dagli attivisti per i diritti de gli animali nonché dal crescente favore dell'opinione pubblica per un trattamento umano degli animali, queste aziende hanno finanziato tra le altre cose la ricerca sugli stati emotivi, mentali e comportamentali delle creature simili a noi.
Quello che stanno scoprendo i ricercatori è sconvolgente. Sembra che molte di queste creature somiglino a noi molto di più di quanto non si possa immaginare. Gli animali sentono il dolore e la sofferenza, conoscono lo stress, l'affetto, l'eccitazione, e persino l'amore.
Alcuni studi della Purdue University negli Usa sul comportamento sociale dei maiali hanno dimostrato, per esempio, che questi si deprimono facilmente quando sono isolati o se gli è negato di giocare con gli altri. La carenza di stimoli mentali e fisici può portare al peggioramento della salute e ad una crescente incidenza di diverse malattie.
L'Unione europea si è presa a cuore questi studi mettendo fuori legge i porcili al chiuso isolanti e ordinando che entro il 2012 vengano sostituiti da porcili all'aria aperta.
In Germania, il governo sta incoraggiando gli allevatori di maiali a dare ad ogni maiale 20 secondi al giorno di contatto umano e di dargli anche due o tre giocattoli per evitare che litighino fra loro.
La ricerca sui maiali rivela solo la superficie di ciò che sta avvenendo in questo nuovo ed esplosivo campo di ricerca sulle emozioni animali e le abilità cognitive.
I ricercatori sono rimasti colpiti dalla pubblicazione di un articolo sulla prestigiosa rivista "Science" nella quale venivano descritte le abilità concettuali dei corvi della Nuova Caledonia. Gli scienziati della Oxford University hanno dichiarato che in una serie di esperimenti controllati è stata data a due uccelli, Betty e Abel, la possibilità di scegliere tra due strumenti, un cavo dritto e uno uncinato, per sfilare un pezzo di carne da un tubo. Tutti e due hanno scelto il cavo uncinato. Ma Abel, il maschio dominante, ha sottratto l'uncino a Betty, lasciandole solo il cavo dritto. Betty, niente affatto demoralizzata, ha incuneato bruscamente nel cavo il becco con il quale l'ha poi piegato in modo da creare un uncino come quello che le era stato rubato. Poi ha sfilato il cibo dal tubo. I ricercatori hanno ripetuto l'esperimento altre dieci volte dandole solo cavi dritti, e lei ne ha fatto un uncino per nove volte, di mostrando una sofisticata abilità nella creazione di strumenti.
Poi, c'è la storia di Alex il pappagallo africano grigio in grado di svolgere compiti che si pensava fossero di esclusivo dominio degli esseri umani. Alex può identificare più di 40 oggetti e sette colori e riunire e separare gli oggetti per categorie. È persino capace di apprendere concetti astratti come "uguale" o "differente" e di risolvere problemi in base alle informazioni che gli vengono fornite. Altrettanto stupefacente è Koko, un gorilla di 150 chili, al quale è stato insegnato il linguaggio dei segni: ne ha imparati più di mille e capisce diverse migliaia di parole inglesi. Nei test per misurare il quoziente d'intelligenza degli umani, Koko raggiunge un punteggio tra 70 e 95, collocandosi nella categoria di coloro che apprendono più lentamente - ma non in quella dei ritardati.
L'abilità a costruire strumenti e lo sviluppo di linguaggi sofisticati sono solo due dei tanti attributi che pensavamo appartenessero esclusivamente alla nostra specie.
L'auto-consapevolezza ne è un'altra ancora.
I filosofi e gli studiosi del comportamento animale hanno discusso a lungo del fatto che gli altri animali non hanno auto consapevolezza perché manca loro un senso di individualismo. Ma, secondo studi recenti, non è così. Un ricercatore austriaco, Pete Chernika, sostiene che negli esperimenti «i delfini sembrano superare i test sulla consapevolezza riconoscendosi negli specchi».
Al National Zoo di Washington, gli orangotango a cui vengono dati degli specchi esplorano le parti del loro corpo che non riuscirebbero a vedere altrimenti, dimostrando un senso del sé. Chantek, un orangotango che vive nello zoo di Atlanta, ha dimostrato un senso di auto-consapevolezza notevole. Ha utilizzato uno specchio per pulirsi i denti e per aggiustarsi gli occhiali, ha raccontato il suo trainer. Quando però si arriva al test finale, quello che dovrebbe indicare ciò che distingue gli esseri umani dalle altre creature, gli scienziati hanno creduto a lungo che la vera differenza consistesse nel piangere i morti. Che gli altri animali non hanno il senso della mortalità e non sono in grado di comprendere il concetto della loro stessa motte. Ma non è necessariamente così. Sembra che anche gli animali conoscano il dolore. Spesso gli elefanti vegliano per giorni, in silenzio, i loro compagni morti, toccando di tanto in tanto i corpi con le loro proboscidi.
La biologa keniota Joyce Poole, che ha studiato gli elefanti per venticinque anni, afferma che il comportamento degli elefanti nei confronti dei loro morti "mi lascia pochi dubbi sul fatto che questi siano in grado di sentire forti emozioni e di capire in qualche modo la morte".
Sappiamo anche che virtualmente tutti gli animali giocano, specialmente quando sono piccoli.
Chiunque abbia osservato i modi buffi dei cagnolini, gatti, cuccioli di orso e simili, non può fare a meno di notare la somiglianza che esiste tra il loro modo di giocare e quello dei nostri figli.
Alcuni recenti studi sulla chimica del cervello dei topi hanno dimostrato che, quando questi giocano, il loro cervello rilascia una grande quantità di dopamina, un neuro-chimico associato al piacere e all'eccitazione negli esseri umani.
Concentrandosi sulle incredibili similitudini nell'anatomia e nella chimica del cervello degli umani e degli altri animali, Steven Siviy, uno scienziato del comportamento al Gettysburg College in Pennsylvania, pone una domanda che si sta sviluppando anche nelle menti degli altri ricercatori.
«Se credete all'evoluzione attraverso la selezione naturale, come potete credere che i sentimenti siano apparsi con gli esseri umani, di colpo, dal nulla?».
Le nuove scoperte dei ricercatori sono però una voce isolata rispetto alla concezione sposata dalla scienza ortodossa.
Ricordate che è stato René Descartes, il grande scienziato e filosofo dell'Illuminismo, a descrivere gli animali come «automi senz'anima», i cui movimenti si distinguevano appena da quelli dei pupazzi meccanici che ballavano intorno all'orologio di Strasburgo.
Fino a tempi molto recenti, gli scienziati sostenevano ancora che il comportamento della maggior parte delle creature era dovuto semplicemente al mero istinto e che quello che poteva sembrare comportamento appreso altro non era che un'attività geneticamente trasmessa. Ora sappiamo che le anatre devono insegnare i percorsi migratori ai loro anatroccoli.
Stiamo, infatti, imparando che l'apprendimento viene quasi sempre tramandato dal genitore ai figli e che la maggior parte degli animali si imbartono in diversi tipi di esperienze apprese, assimilate dagli esperimenti continui e dal tentare di risolvere problemi attraverso errori e riprove.
Perciò cosa ci dice tutto questo rispetto al modo in cui trattiamo le creature simili a noi? Che dire delle migliaia di animali che ogni anno vengono sottoposti a dolorosi esperimenti di laboratorio? O dei milioni di animali domestici cresciuti nelle condi zioni più disumane e destinati al macello e al consumo umano? Dovremmo vietare le trappole che bloccano le zampe e scoraggiare l'acquisto e la vendita di pellicce? E l'uccidere gli animali nello sport? La caccia alla volpe nelle campagne inglesi, la corrida in Spagna, le battaglie tra galli in Messico? E lo spettacolo? I leoni selvaggi vanno rinchiusi nelle gabbie degli zoo, e gli elefanti vanno fatti esibire nei circhi? Queste domande oggi cominciano ad apparire nelle aule dei tribunali e nelle legislazioni di tutto il mondo.
A Harvard e in altre venticinque facoltà di giurisprudenza nei soli Stati Uniti, sono stati introdotti dei corsi sul diritto degli animali e nel sistema processuale sta facendo capolino un crescente numero di casi riguardanti il diritto degli animali.
Recentemente, la Germania è diventato il primo Paese al mondo a sancire il diritto degli animali nella propria Costituzione.
La discussione globale sul comportamento, che sta emergendo, sullo status e sui diritti delle creature simili a noi marca una grande svolta nello sviluppo della coscienza umana e un nuovo banco di prova per la misurazione del progresso umano.
Nei millenni, gli storici hanno usato diversi criteri per valutare il progresso umano.
In tempi recenti, i risultati scientifici, la competenza tecnologica, e le conquiste materiali sono arrivate in cima alla lista degli indicatori della misura del progresso umano. Anche se meritano attenzione, andrebbe però notato che ognuna di queste tre categorie non è assente da svantaggi.
Sicuramente, il ventesimo secolo è testimone del fatto che la scienza, la tecnologia e il commercio possono essere applicati in modi crudeli e che separano ma che sono anche migliorativi e armoniosi. Tuttavia, c'è un altro modo per mi surare il progresso umano, che viene guardato dagli storici dall'alto in basso perché è meno quantificabile, e quindi sospetto.
Penso all'empatia, espressione più preziosa di tutte le altre che è allo stesso tempo sia un sentimento che un valore.
Empatizzare significa l'attraversare e fare esperienza, nella maniera più profonda, dell'essere altrui - specialmente la lotta dell'altro per sopravvivere e prevalere nel viaggio della vita.
Mentre l'empatia ha radici biologiche profonde, ha bisogno anch'essa, come il linguaggio, di essere continuamente praticata e rinnovata per restare in uso. L'empatia è l'espressione della comunicazione tra esseri.
Nel lungo corso della storia umana, si è fatto sempre più chiaro che, in fondo all'anima, il viaggio umano riguarda, l'estensione dell'empatia verso domini più vasti e inclusivi.
L'empatia dei genitori per i figli é il primo grado.
A questo livello, il processo è sia guidato biologicamente che costruito socialmente.
Ogni passo che segue questa connessione dalle radici biologiche richiede un apprendimento paziente - non derivante dal controllo e dal dominio ma piuttosto dall'arrendevolezza e dalla rivelazione.
L'empatia è qualcosa che ci si rivela se siamo aperti verso quel tipo di esperienza. E siamo spesso più aperti quando abbiamo sopportato travagli e difficoltà personali nei nostri viaggi individuali per durare e prevalere.
Mentre il soggiornare umano è spesso sporcato da sconfitte, fallimenti e sofferenze di grande portata, ciò che ci salva è che le difficoltà alle quali resistiamo, sia individualmente sia collettivamente, possono prepararci ad essere aperti alle difficoltà altrui, a consolarli e a sostenere la loro causa.
«Non fare agli altri ciò che non vuoi venga fatto a te», è l'espressione operativa del processo di empatia. All'inizio, la regola d'oro era estesa solo ai consanguinei e alle tribù.
Successivamente è stata estesa alle persone con vedute simili - a coloro che condividevano una religione, alla nazionalità o all'ideologia.
Nel diciottesimo secolo, nacquero le prime società umanistiche, le quali estendevano il viaggio empatico alle creature simili a noi.
Carol, mia moglie, una volta mi ha detto qualcosa che non dimenticherò mai: ogni creatura vivente oggi, ha osservato, è un compagno di viaggio che è connesso a noi solo per la circostanza di trovarsi qui sulla Terra, insieme, allo stesso tempo. Abbiamo, perciò, un legame storico. Ma, ogni creatura ha anche il suo viaggio personale da fare, il proprio destino da vivere e la propria eredità da tramandare.
Fino a che potremo empatizzeremo con il loro viaggio e apprezzeremo insieme il tempo comune sulla Terra. Avremo la possibilità di diventare completi e le nostre vite saranno arricchite.
Gli studi attuali sulle emozioni, le capacità cognitive e il comportamento degli animali aprono una nuova fase nel viaggio dell'umanità, permettendoci sia di espandere sia di approfondire la nostra empatia.
Questa volta per includere la vastissima comunità di creature che vivono al nostro fianco.
(*) Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on Economic Trends a Washington, è autore di "Il Secolo Biotech" (Baldini & Castoldi, 1998) ed "Ecocidio" (Mondadori, 2001)
Fonte: L'Espresso, 21 Agosto 2003
di Jeremy Rifkin (*)
Mentre la maggior parte delle discussioni sulle grandi tematiche scientifiche di quest'anno verteva principalmente sulle nuove scoperte nel campo delle nanotec nologie, sul computer e su domande esoteriche come l'età del nostro universo, dietro le quinte dei laboratori sparsi per il mondo si è andata rivelando una storia più pacata: una storia il cui impatto sulla percezione umana e sulla nostra comprensione del mondo che ci circonda diventerà probabilmente ancora più forte. E, cosa ancora più strana, gli sponsor della ricerca sono McDonald's, Burger King, KFC e altri produttori di fast food. Pressati dagli attivisti per i diritti de gli animali nonché dal crescente favore dell'opinione pubblica per un trattamento umano degli animali, queste aziende hanno finanziato tra le altre cose la ricerca sugli stati emotivi, mentali e comportamentali delle creature simili a noi.
Quello che stanno scoprendo i ricercatori è sconvolgente. Sembra che molte di queste creature somiglino a noi molto di più di quanto non si possa immaginare. Gli animali sentono il dolore e la sofferenza, conoscono lo stress, l'affetto, l'eccitazione, e persino l'amore.
Alcuni studi della Purdue University negli Usa sul comportamento sociale dei maiali hanno dimostrato, per esempio, che questi si deprimono facilmente quando sono isolati o se gli è negato di giocare con gli altri. La carenza di stimoli mentali e fisici può portare al peggioramento della salute e ad una crescente incidenza di diverse malattie.
L'Unione europea si è presa a cuore questi studi mettendo fuori legge i porcili al chiuso isolanti e ordinando che entro il 2012 vengano sostituiti da porcili all'aria aperta.
In Germania, il governo sta incoraggiando gli allevatori di maiali a dare ad ogni maiale 20 secondi al giorno di contatto umano e di dargli anche due o tre giocattoli per evitare che litighino fra loro.
La ricerca sui maiali rivela solo la superficie di ciò che sta avvenendo in questo nuovo ed esplosivo campo di ricerca sulle emozioni animali e le abilità cognitive.
I ricercatori sono rimasti colpiti dalla pubblicazione di un articolo sulla prestigiosa rivista "Science" nella quale venivano descritte le abilità concettuali dei corvi della Nuova Caledonia. Gli scienziati della Oxford University hanno dichiarato che in una serie di esperimenti controllati è stata data a due uccelli, Betty e Abel, la possibilità di scegliere tra due strumenti, un cavo dritto e uno uncinato, per sfilare un pezzo di carne da un tubo. Tutti e due hanno scelto il cavo uncinato. Ma Abel, il maschio dominante, ha sottratto l'uncino a Betty, lasciandole solo il cavo dritto. Betty, niente affatto demoralizzata, ha incuneato bruscamente nel cavo il becco con il quale l'ha poi piegato in modo da creare un uncino come quello che le era stato rubato. Poi ha sfilato il cibo dal tubo. I ricercatori hanno ripetuto l'esperimento altre dieci volte dandole solo cavi dritti, e lei ne ha fatto un uncino per nove volte, di mostrando una sofisticata abilità nella creazione di strumenti.
Poi, c'è la storia di Alex il pappagallo africano grigio in grado di svolgere compiti che si pensava fossero di esclusivo dominio degli esseri umani. Alex può identificare più di 40 oggetti e sette colori e riunire e separare gli oggetti per categorie. È persino capace di apprendere concetti astratti come "uguale" o "differente" e di risolvere problemi in base alle informazioni che gli vengono fornite. Altrettanto stupefacente è Koko, un gorilla di 150 chili, al quale è stato insegnato il linguaggio dei segni: ne ha imparati più di mille e capisce diverse migliaia di parole inglesi. Nei test per misurare il quoziente d'intelligenza degli umani, Koko raggiunge un punteggio tra 70 e 95, collocandosi nella categoria di coloro che apprendono più lentamente - ma non in quella dei ritardati.
L'abilità a costruire strumenti e lo sviluppo di linguaggi sofisticati sono solo due dei tanti attributi che pensavamo appartenessero esclusivamente alla nostra specie.
L'auto-consapevolezza ne è un'altra ancora.
I filosofi e gli studiosi del comportamento animale hanno discusso a lungo del fatto che gli altri animali non hanno auto consapevolezza perché manca loro un senso di individualismo. Ma, secondo studi recenti, non è così. Un ricercatore austriaco, Pete Chernika, sostiene che negli esperimenti «i delfini sembrano superare i test sulla consapevolezza riconoscendosi negli specchi».
Al National Zoo di Washington, gli orangotango a cui vengono dati degli specchi esplorano le parti del loro corpo che non riuscirebbero a vedere altrimenti, dimostrando un senso del sé. Chantek, un orangotango che vive nello zoo di Atlanta, ha dimostrato un senso di auto-consapevolezza notevole. Ha utilizzato uno specchio per pulirsi i denti e per aggiustarsi gli occhiali, ha raccontato il suo trainer. Quando però si arriva al test finale, quello che dovrebbe indicare ciò che distingue gli esseri umani dalle altre creature, gli scienziati hanno creduto a lungo che la vera differenza consistesse nel piangere i morti. Che gli altri animali non hanno il senso della mortalità e non sono in grado di comprendere il concetto della loro stessa motte. Ma non è necessariamente così. Sembra che anche gli animali conoscano il dolore. Spesso gli elefanti vegliano per giorni, in silenzio, i loro compagni morti, toccando di tanto in tanto i corpi con le loro proboscidi.
La biologa keniota Joyce Poole, che ha studiato gli elefanti per venticinque anni, afferma che il comportamento degli elefanti nei confronti dei loro morti "mi lascia pochi dubbi sul fatto che questi siano in grado di sentire forti emozioni e di capire in qualche modo la morte".
Sappiamo anche che virtualmente tutti gli animali giocano, specialmente quando sono piccoli.
Chiunque abbia osservato i modi buffi dei cagnolini, gatti, cuccioli di orso e simili, non può fare a meno di notare la somiglianza che esiste tra il loro modo di giocare e quello dei nostri figli.
Alcuni recenti studi sulla chimica del cervello dei topi hanno dimostrato che, quando questi giocano, il loro cervello rilascia una grande quantità di dopamina, un neuro-chimico associato al piacere e all'eccitazione negli esseri umani.
Concentrandosi sulle incredibili similitudini nell'anatomia e nella chimica del cervello degli umani e degli altri animali, Steven Siviy, uno scienziato del comportamento al Gettysburg College in Pennsylvania, pone una domanda che si sta sviluppando anche nelle menti degli altri ricercatori.
«Se credete all'evoluzione attraverso la selezione naturale, come potete credere che i sentimenti siano apparsi con gli esseri umani, di colpo, dal nulla?».
Le nuove scoperte dei ricercatori sono però una voce isolata rispetto alla concezione sposata dalla scienza ortodossa.
Ricordate che è stato René Descartes, il grande scienziato e filosofo dell'Illuminismo, a descrivere gli animali come «automi senz'anima», i cui movimenti si distinguevano appena da quelli dei pupazzi meccanici che ballavano intorno all'orologio di Strasburgo.
Fino a tempi molto recenti, gli scienziati sostenevano ancora che il comportamento della maggior parte delle creature era dovuto semplicemente al mero istinto e che quello che poteva sembrare comportamento appreso altro non era che un'attività geneticamente trasmessa. Ora sappiamo che le anatre devono insegnare i percorsi migratori ai loro anatroccoli.
Stiamo, infatti, imparando che l'apprendimento viene quasi sempre tramandato dal genitore ai figli e che la maggior parte degli animali si imbartono in diversi tipi di esperienze apprese, assimilate dagli esperimenti continui e dal tentare di risolvere problemi attraverso errori e riprove.
Perciò cosa ci dice tutto questo rispetto al modo in cui trattiamo le creature simili a noi? Che dire delle migliaia di animali che ogni anno vengono sottoposti a dolorosi esperimenti di laboratorio? O dei milioni di animali domestici cresciuti nelle condi zioni più disumane e destinati al macello e al consumo umano? Dovremmo vietare le trappole che bloccano le zampe e scoraggiare l'acquisto e la vendita di pellicce? E l'uccidere gli animali nello sport? La caccia alla volpe nelle campagne inglesi, la corrida in Spagna, le battaglie tra galli in Messico? E lo spettacolo? I leoni selvaggi vanno rinchiusi nelle gabbie degli zoo, e gli elefanti vanno fatti esibire nei circhi? Queste domande oggi cominciano ad apparire nelle aule dei tribunali e nelle legislazioni di tutto il mondo.
A Harvard e in altre venticinque facoltà di giurisprudenza nei soli Stati Uniti, sono stati introdotti dei corsi sul diritto degli animali e nel sistema processuale sta facendo capolino un crescente numero di casi riguardanti il diritto degli animali.
Recentemente, la Germania è diventato il primo Paese al mondo a sancire il diritto degli animali nella propria Costituzione.
La discussione globale sul comportamento, che sta emergendo, sullo status e sui diritti delle creature simili a noi marca una grande svolta nello sviluppo della coscienza umana e un nuovo banco di prova per la misurazione del progresso umano.
Nei millenni, gli storici hanno usato diversi criteri per valutare il progresso umano.
In tempi recenti, i risultati scientifici, la competenza tecnologica, e le conquiste materiali sono arrivate in cima alla lista degli indicatori della misura del progresso umano. Anche se meritano attenzione, andrebbe però notato che ognuna di queste tre categorie non è assente da svantaggi.
Sicuramente, il ventesimo secolo è testimone del fatto che la scienza, la tecnologia e il commercio possono essere applicati in modi crudeli e che separano ma che sono anche migliorativi e armoniosi. Tuttavia, c'è un altro modo per mi surare il progresso umano, che viene guardato dagli storici dall'alto in basso perché è meno quantificabile, e quindi sospetto.
Penso all'empatia, espressione più preziosa di tutte le altre che è allo stesso tempo sia un sentimento che un valore.
Empatizzare significa l'attraversare e fare esperienza, nella maniera più profonda, dell'essere altrui - specialmente la lotta dell'altro per sopravvivere e prevalere nel viaggio della vita.
Mentre l'empatia ha radici biologiche profonde, ha bisogno anch'essa, come il linguaggio, di essere continuamente praticata e rinnovata per restare in uso. L'empatia è l'espressione della comunicazione tra esseri.
Nel lungo corso della storia umana, si è fatto sempre più chiaro che, in fondo all'anima, il viaggio umano riguarda, l'estensione dell'empatia verso domini più vasti e inclusivi.
L'empatia dei genitori per i figli é il primo grado.
A questo livello, il processo è sia guidato biologicamente che costruito socialmente.
Ogni passo che segue questa connessione dalle radici biologiche richiede un apprendimento paziente - non derivante dal controllo e dal dominio ma piuttosto dall'arrendevolezza e dalla rivelazione.
L'empatia è qualcosa che ci si rivela se siamo aperti verso quel tipo di esperienza. E siamo spesso più aperti quando abbiamo sopportato travagli e difficoltà personali nei nostri viaggi individuali per durare e prevalere.
Mentre il soggiornare umano è spesso sporcato da sconfitte, fallimenti e sofferenze di grande portata, ciò che ci salva è che le difficoltà alle quali resistiamo, sia individualmente sia collettivamente, possono prepararci ad essere aperti alle difficoltà altrui, a consolarli e a sostenere la loro causa.
«Non fare agli altri ciò che non vuoi venga fatto a te», è l'espressione operativa del processo di empatia. All'inizio, la regola d'oro era estesa solo ai consanguinei e alle tribù.
Successivamente è stata estesa alle persone con vedute simili - a coloro che condividevano una religione, alla nazionalità o all'ideologia.
Nel diciottesimo secolo, nacquero le prime società umanistiche, le quali estendevano il viaggio empatico alle creature simili a noi.
Carol, mia moglie, una volta mi ha detto qualcosa che non dimenticherò mai: ogni creatura vivente oggi, ha osservato, è un compagno di viaggio che è connesso a noi solo per la circostanza di trovarsi qui sulla Terra, insieme, allo stesso tempo. Abbiamo, perciò, un legame storico. Ma, ogni creatura ha anche il suo viaggio personale da fare, il proprio destino da vivere e la propria eredità da tramandare.
Fino a che potremo empatizzeremo con il loro viaggio e apprezzeremo insieme il tempo comune sulla Terra. Avremo la possibilità di diventare completi e le nostre vite saranno arricchite.
Gli studi attuali sulle emozioni, le capacità cognitive e il comportamento degli animali aprono una nuova fase nel viaggio dell'umanità, permettendoci sia di espandere sia di approfondire la nostra empatia.
Questa volta per includere la vastissima comunità di creature che vivono al nostro fianco.
(*) Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on Economic Trends a Washington, è autore di "Il Secolo Biotech" (Baldini & Castoldi, 1998) ed "Ecocidio" (Mondadori, 2001)
Fonte: L'Espresso, 21 Agosto 2003
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