La globalizzazione... dei liquami
Il sito del World Watch Institute riporta una testimonianza 'a caldo' degli enormi problemi ecologici provocati dall'aumento sostanziale del consumo (e perciò, della 'produzione') di carne in Cina, passato dai 13.4 chili pro capite del 1980 ai 53 chili pro capite del 2004.
L'articolo, che si intitola "China Needs a New Type of Livestock Revolution" (La Cina ha bisogno di una nuova "rivoluzione dell'allevamento") riporta che come gia' accaduto in tutti i paesi occidentali, finora gli unici ad essere rilevantemente interessati dalla piaga dell'allevamento intensivo, anche la Cina sta subendo l'impatto ambientale della sua 'rivoluzione'. Secondo gli studiosi cinesi, riuniti in un workshop sul problema, "le procedure di allevamento intensivo su larga scala, molto efficienti dal punto di vista produttivo, hanno interrotto i flussi che in natura collegano la coltivazione delle piante, l'alimentazione degli animali allevati e l'assorbimento delle deiezioni animali". Difatti il terreno non è assolutamente in grado di assorbire i rifiuti animali provenienti da allevamenti intensivi, liquami farciti di ogni genere di sostanze chimiche utilizzate per far 'aumentare le prestazioni' ai poveri animali lì rinchiusi.
Delle vere bombe ambientali! Gli studi più importanti, citati nell'articolo, si focalizzano su alcuni allevamenti intensivi in grado di fornire il 15% delle carni di maiale, il 25% delle uova, il 40% dei polli 'da carne' e il 50% del latte 'Made in China' (possiamo solo immaginare quali enormi città infernali possano essere questi stabilimenti, considerando sopratutto la totale mancanza di regole sul benessere animale nel sistema cinese. Anzi, credo che non lo si possa proprio immaginare...). Questi impianti, costruiti quasi sempre vicino alle grandi città, "producono notevoli quantità di rifiuti animali, che vengono per lo più scaricati senza ricevere un trattamento di depurazione e che provocano importanti fenomeni di inquinamento dell'acqua e dell'aria".
In tal modo, le falde acquifere che fanno sopravvivere le città in rapida crescita sono messe a rischio. Se si considera poi che la desertificazione è un preoccupante fenomeno molto presente in Cina, si capisce che le fonti d'acqua potabile dovrebbero ricevere ben altra considerazione.
Nell'articolo si legge che ogni anno in Cina vengono prodotte 2.7 miliardi di tonnellate di deiezioni animali, una quantità pari a 3.4 volte la quantità di rifiuti solidi prodotti dall'intera popolazione cinese. E ancora: "La produzione agricola rileva rispettivamente circa per il 70%, 60% e 35% del totale delle sostanze scaricate nei tre laghi più inquinati della Cina. Complessivamente, solo il 5% circa dei rifiuti animali prodotti in Cina sono trattati, data la limitatezza degli impianti e della capacità di trattamento".
L'articolo fa dei riferimenti alle preoccupazioni di molti agronomi internazionali, che hanno evidenziato il bisogno di "riflettere sulla rivoluzione dell'allevamento". Il giornalista cita uno studioso secondo il quale "la moderna agro-zootecnia sta causando più problemi ambientali dell'industria, ma non è altrettanto ben regolata riguardo alle emissioni. Bisogna tenere ben presente l'urgenza di mettere a punto una politica ambientale pubblica sull'allevamento. Manchiamo di una regolamentazione che limiti le emissioni di gas-serra e lo sviluppo degli altri problemi ambientali provocati dall'industria dell'allevamento".
Ma allora, si inizia finalmente a capire che l'allevamento intensivo non ha niente a che fare con l'agricoltura? Che forse l'idea migliore è lasciar perdere? Macché. Gli agronomi riuniti nel workshop cinese immaginano delle collaborazioni internazionali per gestire in modo 'profittevole' i rifiuti animali. Nessuno di essi ha affermato la necessità di chiudere gli allevamenti, diminuirne il numero e la produttivià, eppure solo questa sarebbe una soluzione praticabile, visti i disastri già prodotti e quelli producibili.
Non viene mai messo in discussione il modello alimentare che va assumendo il popolo cinese, tutto il peggio dell'Occidente abbinato a tutto il peggio dell'Oriente(tradotto: tutto il peggio per gli animali e l'ambiente). Adesso che i consumi di alimenti animali sono così terribilmente aumentati anche nell'ex Celeste Impero, iniziamo a vivere in un'epoca di vera e propria "globalizzazione dei liquami". Non sappiamo chi potrà esserne contento.
Commento di Roberta Seclì
Fonte: Worldwatch, "China Needs a New Type of Livestock Revolution", 12 dicembre 2006, http://www.worldwatch.org/node/4772
Articolo tratto da: http://www.agireora.org/info/news_dett.php?id=128
L'articolo, che si intitola "China Needs a New Type of Livestock Revolution" (La Cina ha bisogno di una nuova "rivoluzione dell'allevamento") riporta che come gia' accaduto in tutti i paesi occidentali, finora gli unici ad essere rilevantemente interessati dalla piaga dell'allevamento intensivo, anche la Cina sta subendo l'impatto ambientale della sua 'rivoluzione'. Secondo gli studiosi cinesi, riuniti in un workshop sul problema, "le procedure di allevamento intensivo su larga scala, molto efficienti dal punto di vista produttivo, hanno interrotto i flussi che in natura collegano la coltivazione delle piante, l'alimentazione degli animali allevati e l'assorbimento delle deiezioni animali". Difatti il terreno non è assolutamente in grado di assorbire i rifiuti animali provenienti da allevamenti intensivi, liquami farciti di ogni genere di sostanze chimiche utilizzate per far 'aumentare le prestazioni' ai poveri animali lì rinchiusi.
Delle vere bombe ambientali! Gli studi più importanti, citati nell'articolo, si focalizzano su alcuni allevamenti intensivi in grado di fornire il 15% delle carni di maiale, il 25% delle uova, il 40% dei polli 'da carne' e il 50% del latte 'Made in China' (possiamo solo immaginare quali enormi città infernali possano essere questi stabilimenti, considerando sopratutto la totale mancanza di regole sul benessere animale nel sistema cinese. Anzi, credo che non lo si possa proprio immaginare...). Questi impianti, costruiti quasi sempre vicino alle grandi città, "producono notevoli quantità di rifiuti animali, che vengono per lo più scaricati senza ricevere un trattamento di depurazione e che provocano importanti fenomeni di inquinamento dell'acqua e dell'aria".
In tal modo, le falde acquifere che fanno sopravvivere le città in rapida crescita sono messe a rischio. Se si considera poi che la desertificazione è un preoccupante fenomeno molto presente in Cina, si capisce che le fonti d'acqua potabile dovrebbero ricevere ben altra considerazione.
Nell'articolo si legge che ogni anno in Cina vengono prodotte 2.7 miliardi di tonnellate di deiezioni animali, una quantità pari a 3.4 volte la quantità di rifiuti solidi prodotti dall'intera popolazione cinese. E ancora: "La produzione agricola rileva rispettivamente circa per il 70%, 60% e 35% del totale delle sostanze scaricate nei tre laghi più inquinati della Cina. Complessivamente, solo il 5% circa dei rifiuti animali prodotti in Cina sono trattati, data la limitatezza degli impianti e della capacità di trattamento".
L'articolo fa dei riferimenti alle preoccupazioni di molti agronomi internazionali, che hanno evidenziato il bisogno di "riflettere sulla rivoluzione dell'allevamento". Il giornalista cita uno studioso secondo il quale "la moderna agro-zootecnia sta causando più problemi ambientali dell'industria, ma non è altrettanto ben regolata riguardo alle emissioni. Bisogna tenere ben presente l'urgenza di mettere a punto una politica ambientale pubblica sull'allevamento. Manchiamo di una regolamentazione che limiti le emissioni di gas-serra e lo sviluppo degli altri problemi ambientali provocati dall'industria dell'allevamento".
Ma allora, si inizia finalmente a capire che l'allevamento intensivo non ha niente a che fare con l'agricoltura? Che forse l'idea migliore è lasciar perdere? Macché. Gli agronomi riuniti nel workshop cinese immaginano delle collaborazioni internazionali per gestire in modo 'profittevole' i rifiuti animali. Nessuno di essi ha affermato la necessità di chiudere gli allevamenti, diminuirne il numero e la produttivià, eppure solo questa sarebbe una soluzione praticabile, visti i disastri già prodotti e quelli producibili.
Non viene mai messo in discussione il modello alimentare che va assumendo il popolo cinese, tutto il peggio dell'Occidente abbinato a tutto il peggio dell'Oriente(tradotto: tutto il peggio per gli animali e l'ambiente). Adesso che i consumi di alimenti animali sono così terribilmente aumentati anche nell'ex Celeste Impero, iniziamo a vivere in un'epoca di vera e propria "globalizzazione dei liquami". Non sappiamo chi potrà esserne contento.
Commento di Roberta Seclì
Fonte: Worldwatch, "China Needs a New Type of Livestock Revolution", 12 dicembre 2006, http://www.worldwatch.org/node/4772
Articolo tratto da: http://www.agireora.org/info/news_dett.php?id=128
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