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L’uomo è cacciatore?

Un pianeta da difendere

La riapertura della stagione venatoria in Italia porta molti incidenti e aspre polemiche. A ragione, molti non riescono a comprendere quale sia, oggi, il vero motivo che spinge a quello che una volta veniva considerato impropriamente uno sport. I cacciatori raccontano di lunghe passeggiate all’alba, dell’immersione nella natura, del rapporto con il cane, della ricerca degli animali. Tutte cose che potrebbero comunque essere fatte senza l’atto finale dell’uccisione della preda: perché, invece, nessuno vi rinuncia? Levategli tutto, al cacciatore, ma non il fucile: perché non usa una macchina fotografica per rendere solo metaforico il momento della cattura?

La ragione è molto semplice - e solo i cacciatori meno ipocriti riescono a sostenerla come “una contraddizione” -, che ammazzare un altro essere vivente è il vero scopo dell’attività venatoria: a chi caccia piace uccidere, altro che passeggiate nei boschi e conservazione della natura. Così una stragrande minoranza di italiani (meno di 800.000, cioè poco più dell’1% della popolazione), organizzati in una potente lobby trasversale, riesce a condizionare la chiara volontà di tutti gli altri decisamente contrari alla caccia (come dimostrano i dati dei votanti ai due referendum). Così in Italia si uccidono circa 100 milioni di animali all’anno, spesso contrariamente a quanto prescritto dalle leggi europee o in deroga perenne anche alla legge italiana (aperture anticipate, specie non cacciabili inserite nei carnieri, magari anche nelle aree protette). Per non parlare del bracconaggio (quasi sempre un bracconiere è un cacciatore) o del ruolo assegnato da alcune regioni ai cacciatori come regolatori della pressione demografica di caprioli o cinghiali: come se la colpa della loro espansione non fosse, in ultima analisi, degli stessi cacciatori che, negli anni, li hanno introdotti e ne hanno sterminato i naturali predatori.

Per giustificare la carneficina spesso si sente dire che l’uomo nasce cacciatore e, dunque, che si tratti di attività perfettamente naturale. Ma non è così. La caccia è una strategia di sopravvivenza molto recente in termini evolutivi, che risale a meno di 300.000 anni fa: prima di allora Homo mangiava quello che raccoglieva e solo occasionalmente predava animali già morti per succhiarne magari il midollo dalle ossa, dopo averli contesi a iene e avvoltoi. La caccia degli uomini non è un fenomeno naturale in senso stretto, ma è stata ritenuta tale grazie a un’errata interpretazione dei reperti fossili degli antenati di Homo sapiens.

Il ritrovamento di ossa di ominidi insieme con quelle di altri animali (ungulati, primati e carnivori) aveva fatto concludere che l’uomo avesse predato sia gli erbivori che i carnivori, visto anche il ritrovamento di ossa fratturate e apparentemente lavorate. A lavorarle erano stati, invece, gli istrici, per ricostruire l’equilibrio del calcio del loro corpo come fanno da sempre. Scimmie, cervi e ominidi giocavano in realtà, costantemente, il ruolo della preda rispetto ai grandi felini: altro che uomo cacciatore, prede eravamo! Nessuna specie caccia - come fa oggi Homo sapiens, almeno in occidente - solo per il gusto di uccidere, ponendosi oggettivamente al di fuori della storia naturale e fornendo un triste spettacolo anche dal punto di vista culturale.

Mario Tozzi
primo ricercatore Cnr - Igag e conduttore televisivo

Ottobre 2006

Tratto da: http://www.consumatori.e-coop.it/portalWeb/consumatoriHome.portal?_nfpb=true&_pageLabel=consumatoriHomeDocumento&cm_path=%2FCoopRepository%2FCONSUMATORI%2FCoopItalia%2Fdocumento%2Fdoc00000034510




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