Magrezza e obesità
di Stefano Severoni
Tra i tanti problemi che assillano la nostra società vi sono quelli della fame e dell’obesità. Potremmo quasi affermare che l’umanità si divida in due parti: da un lato vi è chi soffre la fame a causa di un’alimentazione insufficiente a soddisfare il fabbisogno quotidiano in nutrienti essenziali, insufficienza più che altro qualitativa, lamentata in special modo nei Paesi del Terzo Mondo. Dall’altro, e ciò si registra specialmente nella nostra società occidentale ed in quella americana, esiste il problema dell’obesità, ovvero del soprappeso corporeo, piaga che tormenta molte persone. Questo è causato dall’accumulo di grasso corporeo, dovuto ad un eccesso di entrate in alimenti, rispetto al dispendio energetico prodotto nelle attività quotidiane, sommato al metabolismo basale. L’alimentazione diviene eccessiva anche quando vi è uno scarso esercizio fisico.
L’alimentazione è viziata anche poiché si introducono alimenti “morti”, ovvero cotti, denaturati, sottoposti a conservazione con tecniche inopportune, consumati a distanza eccessiva dalla raccolta e quindi impoveriti di energia quantificata in Angstrom (sappiamo che un frutto mangiato a distanza di dieci giorni dal momento in cui è stato raccolto, viene a possedere solo il 10% circa dell’energia originaria), trattati con concimi chimici ed antiparassitari, eccessivamente manipolati prima del consumo (spezzettati, lavati eccessivamente, preparati molto tempo prima della loro consumazione, ecc.), oppure acidificanti, quali quelli di provenienza animale.
In alcune popolazioni si riscontra una magrezza che gli occidentali reputano eccessiva e patologica. La classe medica stabilisce delle tabelle sul rapporto altezza-peso e ritiene dato positivo l’accrescimento verificatosi nel XX secolo dell’aumento di statura, incremento che viene attribuito all’aumento del consumo di carne, considerazione che tuttavia l’Organizzazione Mondiale della Sanità stessa ha in parte rivisto. Nell’opinione di alcuni studiosi si è così rivalutata la considerazione sulla validità delle tabelle peso-altezza ancora in vigore. All’accusa che viene rivolta ad alcuni individui di essere troppo magri, si può rispondere che sovente proprio il fatto di essere magri consente di essere in salute e garantisce lo svolgimento di numerose attività nel corso della giornata. Se la magrezza divenisse eccessiva, tale da mettere in pericolo la stessa vita dell’individuo, il corpo stesso si preoccuperebbe di far sorgere la fame, quella “autentica”. L’uomo possiede l’istinto degli altri animali, ciò che gli necessita lo cerca spontaneamente. Prima di cadere in uno stato di prostrazione, lo spirito di conservazione lo spinge a ricercare cosa a lui occorra per assicurargli l’integrità della propria salute.
Tra gli esempi di salutare magrezza se ne possono ricordare diversi.
Il signor Gong Laifa, deceduto in Cina il 12 marzo 1995 all’età di 147 anni, forse l’uomo più vecchio del mondo, il quale era alto 1 m e 40 cm e pesava appena 30 kg, come informava il Giornale d’Italia del 31 marzo 1995. L’alimentazione che seguiva era vegetaliana, non consumava alcoolici, viveva in ambiente di campagna, eseguiva una speciale forma di respirazione e praticava molto moto.
Ancora si possono ricordare i piccoli e magri vietcong, i quali fronteggiarono vittoriosamente gli obesi americani ed i francesi.
Poi il filosofo inglese vegetariano Bernard Russel, il quale si produsse in una marcia di protesta contro la guerra del Vietnam a passo sostenuto, pesando 43 kg.
Il popolo degli Hunza, gente molto magra che ignora la malattia, vive per la maggior parte del tempo all’aperto e durante il periodo stagionale della primavera si sottopone ad un semidigiuno a causa della penuria di cibo e nonostante tutto conserva una vitalità ed efficienza notevoli.
I corridori africani, in special modo etiopi e keniani, i quali devono i loro successi anche alla loro struttura esile, dovuta in gran parte alla notevole attività fisica praticata sin dalla giovane età; si cita a questo riguardo il fatto che essi vadano a scuola di corsa sin da piccoli.
Si può menzionare la maratoneta Alba Milana, di Olevano Romano, la quale vinse la 3a edizione del Campionato Italiano di Maratona a Verona, pesando attorno ai 40 kg.
Sappiamo che nella corsa il dispendio energetico è dato dal prodotto tra la distanza percorsa e il peso dell’atleta x 0,90 circa, per cui chi è magro avrà un dispendio inferiore. Perciò in special modo i corridori di lunghe distanze e tra questi i maratoneti, saranno agevolati dal non doversi portar dietro chili in sovrappiù, inutile zavorra.
C’è chi sostiene che un po’ di tessuti di riserva siano necessari; ma a ciò si può obiettare che l’uomo non deve attraversare deserti e rimanere senza cibo per un tempo lungo ed essere perciò costretto ad attingere dalle proprie riserve, come avviene a cammelli e dromedari e agli animali che vanno in letargo. Invece l’uomo per lo più si alimenta con cibi durante l’intero periodo annuale, e non deve sopportare per necessità, digiuni forzati.
La qualità dell’alimentazione non è legata al numero di calorie che si introducono, ma piuttosto alla qualità biologica dei suoi componenti: è sufficiente una quantità minima di una vitamina affinché questa esplichi la sua azione enzimatica in tutti i processi vitali. Piuttosto è fondamentale nutrirsi con alimenti “vivi”, e ciò si verificherà soprattutto se essi sono biologici o biodinamici, cioè privi di trattamenti chimici, le cui piante di provenienza sono state sottoposte alla rotazione colturale, non si farà ricorso a cibi “morti” come lo zucchero privo di principi nutritivi, pur essendo ricco di calorie.
Se Feuerbach affermava che l’uomo è ciò che mangia, potremmo sostenere che nell’uomo, essendo egli principalmente un essere raziocinante, pensante, lo stato psichico è fondamentale per la sua salute, la quale non si restringe alla quantità e qualità degli alimenti che introduce. L’esistenza dell’individuo è legata, oltre che agli alimenti di cui si sostenta, anche all’acqua, all’aria, al sole, all’ambiente in cui vive, alla pulizia, al coraggio, agli esercizi fisici, al riposo, ai contatti umani, all’amore ed altro ancora.
Ai nostri giorni si può stare in buona salute alimentandosi con cibi vegetali in primo luogo, in quantità abbondante, cibi “vivi”, rinunciando ad intingoli, sughi e condimenti grassi, spezie, senza ricorrere ad inutili e costosi integratori, i quali non educano ad attingere dalla natura il nutrimento necessario. Certo ciò va seguito non un giorno ma sempre, il che presuppone costanza e convinzione in tale operato. Introdurre cibi naturali dovrebbe garantire una salute soddisfacente, anche perché chi si abitua ad attingere vitamine e minerali da pastiglie, gocce o fiale, quando sospende tale pratica l’assimilazione dei nutrienti dai cibi risulta rallentata.
Per quanto concerne gli esempi pratici da stimare di magrezza salutare, si possono citare, oltre agli Hunza, il popolo dei Vilcabamba, nell’antico Perù, che seguiva una dieta spartana attorno alle 1200 calorie giornaliere e viveva a lungo sino all’età di 120-140 anni, godendo ottima salute. O ancora gli indigeni del Monte Hagen nella Nuova Guinea, i quali si alimentano con cibi crudi quali i germogli, canna da zucchero, banane, noci varie, verdure, cuore di palma, oltre alle patate cotte, introducendo, secondo studi, 9,92 gr di proteine giornaliere, godono anch’essi ottima salute e compiono notevoli sforzi fisici. I Carani Guarani dell’America del Sud, i quali mangiano molta frutta masticando lentamente ogni boccone, in assoluto silenzio e vivono con gioia e letizia.
Questi popoli hanno in comune un’esistenza all’aria aperta, aria pura, un’intensa attività fisica in natura, sufficienti ore di sonno, un’alimentazione frugale povera in calorie, proteine e grassi, con largo consumo di frutta e verdure crude e cibi integrali, non assumono farmaci e non beneficano di assistenza sanitaria, non soffrono stress particolari, sono lontani dai conflitti psichici della civiltà moderna più economicamente ed industrialmente evoluta, quale quella occidentale e americana che invece lamentano numerosi problemi legati al progresso e, tra questi, per l’appunto, quello dell’obesità, oltre a quello dell’incomunicabilità: sovente il cibo viene a colmare un vuoto.
Se quindi la magrezza non rappresenta un problema vero, purché si segua un corretto stile di vita, senza sobbarcarsi eccessive penitenze, quello dell’obesità è sicuramente un problema reale. Secondo un’indagine condotta nel 2002 dall’Istituto nazionale ricerca degli alimenti e la nutrizione, il nostro Paese potrebbe tranquillamente sfamare 110 milioni di persone, esattamente il doppio di quanti siamo. Gli esperti sostengono che tutto il nostro “superfluo”, ossia il 61% in più di proteine, il 35% in più di grassi e il 60% di zuccheri, costituisce un pasto giornaliero; in più la dieta di un miliardo di animali sfamerebbe 3 miliardi di persone al mondo. Noi produciamo 2 milioni di tonnellate di cereali; tra questi un milione e 600mila tonnellate derivano da tre semi commestibili: il grano, il mais ed il riso. Per nutrire gli animali si consumano 960mila tonnellate di questi cereali, con i quali si sfamano 1 miliardo di animali, ma privando di cibo 3 miliardi di uomini, circa metà della popolazione mondiale.
Questo spreco enorme provoca nel 45% degli italiani il problema del soprappeso; con il suo “surplus” alimentare si potrebbe sfamare tanta gente. Ogni italiano ha ogni giorno a disposizione, oltre ai tre pasti regolari, tre pasti di riserva che non riesce a consumare. Accanto al cibo introdotto in eccesso, vi è quello che finisce tra i rifiuti. La sola città di Roma getta nelle discariche cittadine una quantità di carne, pesce, frutta e verdura che potrebbe sfamare un milione di poveri al giorno. Oltre 40mila tonnellate di cibo proveniente dai mercati generali e rionali dell’Urbe, secondo i dati forniti dall’Ama e da Legambiente, finiscono tra i rifiuti destinati al macero. Per non parlare dei cibi andati a male, o degli scarti e le parti ritenute immangiabili: nei bidoni della capitale finiscono pietanze intatte, le quali potrebbero salvare centinaia di migliaia di vite. In particolare i mercati rionali gettano via quotidianamente 87,8 tonnellate di generi ortofrutticoli, per un totale annuo di 27˙400 tonnellate, e 24,8 tonnellate di carne e pesce, per un totale complessivo di 7˙736 tonnellate all’anno. A queste vanno ad aggiungersi le 5mila tonnellate di prodotti gettati via dai mercati generali. Se si calcola che mediamente ogni cittadino mangia un chilo di cibo al giorno, si potrebbero imbandire tavole luculliane per migliaia di indigenti con tutto ciò che viene gettato.
Ciò che per noi è superfluo, in abbondanza, per altri è invece indispensabile e potrebbe garantire il soddisfacimento dell’utile quotidiano; la nostra rinuncia può essere preziosa a molti che sono in situazioni disagiate, loro malgrado.
Tra i tanti problemi che assillano la nostra società vi sono quelli della fame e dell’obesità. Potremmo quasi affermare che l’umanità si divida in due parti: da un lato vi è chi soffre la fame a causa di un’alimentazione insufficiente a soddisfare il fabbisogno quotidiano in nutrienti essenziali, insufficienza più che altro qualitativa, lamentata in special modo nei Paesi del Terzo Mondo. Dall’altro, e ciò si registra specialmente nella nostra società occidentale ed in quella americana, esiste il problema dell’obesità, ovvero del soprappeso corporeo, piaga che tormenta molte persone. Questo è causato dall’accumulo di grasso corporeo, dovuto ad un eccesso di entrate in alimenti, rispetto al dispendio energetico prodotto nelle attività quotidiane, sommato al metabolismo basale. L’alimentazione diviene eccessiva anche quando vi è uno scarso esercizio fisico.
L’alimentazione è viziata anche poiché si introducono alimenti “morti”, ovvero cotti, denaturati, sottoposti a conservazione con tecniche inopportune, consumati a distanza eccessiva dalla raccolta e quindi impoveriti di energia quantificata in Angstrom (sappiamo che un frutto mangiato a distanza di dieci giorni dal momento in cui è stato raccolto, viene a possedere solo il 10% circa dell’energia originaria), trattati con concimi chimici ed antiparassitari, eccessivamente manipolati prima del consumo (spezzettati, lavati eccessivamente, preparati molto tempo prima della loro consumazione, ecc.), oppure acidificanti, quali quelli di provenienza animale.
In alcune popolazioni si riscontra una magrezza che gli occidentali reputano eccessiva e patologica. La classe medica stabilisce delle tabelle sul rapporto altezza-peso e ritiene dato positivo l’accrescimento verificatosi nel XX secolo dell’aumento di statura, incremento che viene attribuito all’aumento del consumo di carne, considerazione che tuttavia l’Organizzazione Mondiale della Sanità stessa ha in parte rivisto. Nell’opinione di alcuni studiosi si è così rivalutata la considerazione sulla validità delle tabelle peso-altezza ancora in vigore. All’accusa che viene rivolta ad alcuni individui di essere troppo magri, si può rispondere che sovente proprio il fatto di essere magri consente di essere in salute e garantisce lo svolgimento di numerose attività nel corso della giornata. Se la magrezza divenisse eccessiva, tale da mettere in pericolo la stessa vita dell’individuo, il corpo stesso si preoccuperebbe di far sorgere la fame, quella “autentica”. L’uomo possiede l’istinto degli altri animali, ciò che gli necessita lo cerca spontaneamente. Prima di cadere in uno stato di prostrazione, lo spirito di conservazione lo spinge a ricercare cosa a lui occorra per assicurargli l’integrità della propria salute.
Tra gli esempi di salutare magrezza se ne possono ricordare diversi.
Il signor Gong Laifa, deceduto in Cina il 12 marzo 1995 all’età di 147 anni, forse l’uomo più vecchio del mondo, il quale era alto 1 m e 40 cm e pesava appena 30 kg, come informava il Giornale d’Italia del 31 marzo 1995. L’alimentazione che seguiva era vegetaliana, non consumava alcoolici, viveva in ambiente di campagna, eseguiva una speciale forma di respirazione e praticava molto moto.
Ancora si possono ricordare i piccoli e magri vietcong, i quali fronteggiarono vittoriosamente gli obesi americani ed i francesi.
Poi il filosofo inglese vegetariano Bernard Russel, il quale si produsse in una marcia di protesta contro la guerra del Vietnam a passo sostenuto, pesando 43 kg.
Il popolo degli Hunza, gente molto magra che ignora la malattia, vive per la maggior parte del tempo all’aperto e durante il periodo stagionale della primavera si sottopone ad un semidigiuno a causa della penuria di cibo e nonostante tutto conserva una vitalità ed efficienza notevoli.
I corridori africani, in special modo etiopi e keniani, i quali devono i loro successi anche alla loro struttura esile, dovuta in gran parte alla notevole attività fisica praticata sin dalla giovane età; si cita a questo riguardo il fatto che essi vadano a scuola di corsa sin da piccoli.
Si può menzionare la maratoneta Alba Milana, di Olevano Romano, la quale vinse la 3a edizione del Campionato Italiano di Maratona a Verona, pesando attorno ai 40 kg.
Sappiamo che nella corsa il dispendio energetico è dato dal prodotto tra la distanza percorsa e il peso dell’atleta x 0,90 circa, per cui chi è magro avrà un dispendio inferiore. Perciò in special modo i corridori di lunghe distanze e tra questi i maratoneti, saranno agevolati dal non doversi portar dietro chili in sovrappiù, inutile zavorra.
C’è chi sostiene che un po’ di tessuti di riserva siano necessari; ma a ciò si può obiettare che l’uomo non deve attraversare deserti e rimanere senza cibo per un tempo lungo ed essere perciò costretto ad attingere dalle proprie riserve, come avviene a cammelli e dromedari e agli animali che vanno in letargo. Invece l’uomo per lo più si alimenta con cibi durante l’intero periodo annuale, e non deve sopportare per necessità, digiuni forzati.
La qualità dell’alimentazione non è legata al numero di calorie che si introducono, ma piuttosto alla qualità biologica dei suoi componenti: è sufficiente una quantità minima di una vitamina affinché questa esplichi la sua azione enzimatica in tutti i processi vitali. Piuttosto è fondamentale nutrirsi con alimenti “vivi”, e ciò si verificherà soprattutto se essi sono biologici o biodinamici, cioè privi di trattamenti chimici, le cui piante di provenienza sono state sottoposte alla rotazione colturale, non si farà ricorso a cibi “morti” come lo zucchero privo di principi nutritivi, pur essendo ricco di calorie.
Se Feuerbach affermava che l’uomo è ciò che mangia, potremmo sostenere che nell’uomo, essendo egli principalmente un essere raziocinante, pensante, lo stato psichico è fondamentale per la sua salute, la quale non si restringe alla quantità e qualità degli alimenti che introduce. L’esistenza dell’individuo è legata, oltre che agli alimenti di cui si sostenta, anche all’acqua, all’aria, al sole, all’ambiente in cui vive, alla pulizia, al coraggio, agli esercizi fisici, al riposo, ai contatti umani, all’amore ed altro ancora.
Ai nostri giorni si può stare in buona salute alimentandosi con cibi vegetali in primo luogo, in quantità abbondante, cibi “vivi”, rinunciando ad intingoli, sughi e condimenti grassi, spezie, senza ricorrere ad inutili e costosi integratori, i quali non educano ad attingere dalla natura il nutrimento necessario. Certo ciò va seguito non un giorno ma sempre, il che presuppone costanza e convinzione in tale operato. Introdurre cibi naturali dovrebbe garantire una salute soddisfacente, anche perché chi si abitua ad attingere vitamine e minerali da pastiglie, gocce o fiale, quando sospende tale pratica l’assimilazione dei nutrienti dai cibi risulta rallentata.
Per quanto concerne gli esempi pratici da stimare di magrezza salutare, si possono citare, oltre agli Hunza, il popolo dei Vilcabamba, nell’antico Perù, che seguiva una dieta spartana attorno alle 1200 calorie giornaliere e viveva a lungo sino all’età di 120-140 anni, godendo ottima salute. O ancora gli indigeni del Monte Hagen nella Nuova Guinea, i quali si alimentano con cibi crudi quali i germogli, canna da zucchero, banane, noci varie, verdure, cuore di palma, oltre alle patate cotte, introducendo, secondo studi, 9,92 gr di proteine giornaliere, godono anch’essi ottima salute e compiono notevoli sforzi fisici. I Carani Guarani dell’America del Sud, i quali mangiano molta frutta masticando lentamente ogni boccone, in assoluto silenzio e vivono con gioia e letizia.
Questi popoli hanno in comune un’esistenza all’aria aperta, aria pura, un’intensa attività fisica in natura, sufficienti ore di sonno, un’alimentazione frugale povera in calorie, proteine e grassi, con largo consumo di frutta e verdure crude e cibi integrali, non assumono farmaci e non beneficano di assistenza sanitaria, non soffrono stress particolari, sono lontani dai conflitti psichici della civiltà moderna più economicamente ed industrialmente evoluta, quale quella occidentale e americana che invece lamentano numerosi problemi legati al progresso e, tra questi, per l’appunto, quello dell’obesità, oltre a quello dell’incomunicabilità: sovente il cibo viene a colmare un vuoto.
Se quindi la magrezza non rappresenta un problema vero, purché si segua un corretto stile di vita, senza sobbarcarsi eccessive penitenze, quello dell’obesità è sicuramente un problema reale. Secondo un’indagine condotta nel 2002 dall’Istituto nazionale ricerca degli alimenti e la nutrizione, il nostro Paese potrebbe tranquillamente sfamare 110 milioni di persone, esattamente il doppio di quanti siamo. Gli esperti sostengono che tutto il nostro “superfluo”, ossia il 61% in più di proteine, il 35% in più di grassi e il 60% di zuccheri, costituisce un pasto giornaliero; in più la dieta di un miliardo di animali sfamerebbe 3 miliardi di persone al mondo. Noi produciamo 2 milioni di tonnellate di cereali; tra questi un milione e 600mila tonnellate derivano da tre semi commestibili: il grano, il mais ed il riso. Per nutrire gli animali si consumano 960mila tonnellate di questi cereali, con i quali si sfamano 1 miliardo di animali, ma privando di cibo 3 miliardi di uomini, circa metà della popolazione mondiale.
Questo spreco enorme provoca nel 45% degli italiani il problema del soprappeso; con il suo “surplus” alimentare si potrebbe sfamare tanta gente. Ogni italiano ha ogni giorno a disposizione, oltre ai tre pasti regolari, tre pasti di riserva che non riesce a consumare. Accanto al cibo introdotto in eccesso, vi è quello che finisce tra i rifiuti. La sola città di Roma getta nelle discariche cittadine una quantità di carne, pesce, frutta e verdura che potrebbe sfamare un milione di poveri al giorno. Oltre 40mila tonnellate di cibo proveniente dai mercati generali e rionali dell’Urbe, secondo i dati forniti dall’Ama e da Legambiente, finiscono tra i rifiuti destinati al macero. Per non parlare dei cibi andati a male, o degli scarti e le parti ritenute immangiabili: nei bidoni della capitale finiscono pietanze intatte, le quali potrebbero salvare centinaia di migliaia di vite. In particolare i mercati rionali gettano via quotidianamente 87,8 tonnellate di generi ortofrutticoli, per un totale annuo di 27˙400 tonnellate, e 24,8 tonnellate di carne e pesce, per un totale complessivo di 7˙736 tonnellate all’anno. A queste vanno ad aggiungersi le 5mila tonnellate di prodotti gettati via dai mercati generali. Se si calcola che mediamente ogni cittadino mangia un chilo di cibo al giorno, si potrebbero imbandire tavole luculliane per migliaia di indigenti con tutto ciò che viene gettato.
Ciò che per noi è superfluo, in abbondanza, per altri è invece indispensabile e potrebbe garantire il soddisfacimento dell’utile quotidiano; la nostra rinuncia può essere preziosa a molti che sono in situazioni disagiate, loro malgrado.
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