La fettina svuota le coscienze
Denuncia de «La Ventessa»: a Sant´Orsola la lana di pecore e agnelli viene buttata in discarica
Un macello resta sempre un macello
Il veterinario Pallante: «La fettina svuota le coscienze»
di ALBERTO PICCIONI
PERGINE (Trento) - Pinze che uccidono in pochi secondi con l´alta tensione, percorsi obbligati che conducono a gabbie mortali, canali di scolo per raccogliere il sangue sparso sul pavimento: non è un film horror ma la descrizione di strumenti e accessori del nuovo macello comunale.
Qualche volta alla macellazione si aggiunge lo spreco: la presidente dell´associazione «La Ventessa», Rosa Fontana, denuncia che in zona Sant´Orsola la lana delle pecore macellate, in strutture private, finisce tutta in discarica. Durante la recente inaugurazione della struttura a bollo Cee i visitatori non potevano non restare colpiti dalla attrezzatura, più o meno asettica, con cui si uccide, seziona e divide manzi e maiali. A qualcuno, più sensibile o attento, sarà venuta in mente la sofferenza degli animali, l´inquietudine che si cela dietro la parola «macello».
Cosa rappresenta oggi, in tempi di mucca pazza? «Per uno zooantropologo è la negazione della mistica alimentare - risponde Giuseppe Pallante, veterinario e direttore del Centro studi zooantropologici di Trento - il cibo, e la carne in particolare, tolta dal contesto del rito, sacrificale, ma anche solo nutrizionale, perde ogni valenza. Così come viene consumata oggi la fettina risulta buona per riempire le pance e svuotare le coscienze, ed in particolare l´intelletto. È possibile realizzare macelli etici, ma il vecchio adagio "occhio non vede cuore non duole" è sempre valido, o più precisamente funzionale al sistema».
In un moderno macello una bestia soffre? Le carni risentono di questa sofferenza?
«Tutte le macellazioni vengono effettuate tenendo in particolare conto le sofferenze inflitte all´animale, ma questo assolutamente non giustifica la diseducazione alimentare. Le macellazioni di rito islamico o ebraico negano questi artifizi; ma, appunto, risultano solo artifizi buoni per placare le nostre coscienze.
Non credo che la sofferenza sia l´atto del morire - che forse potrebbe essere inteso in molti casi una liberazione - ma il quotidiano vivere in un allevamento intensivo, in una mega porcilaia o in un capannone per polli in batteria.
Gli studi effettuati sulla sofferenza animale comunque sono solo giustificazionismi (chi può dire che lo stordimento con proiettile captivo o per elettronarcosi siano meno dolorosi dell´eiagulazione diretta come avviene nelle macellazioni rituali).
Il vero obbiettivo del macello è garantire la sicurezza alimentare umana e la commercializzazione delle carni.
Le carni degli animali che presentano segni di sofferenza risultano stressate con successivo cattivo dissanguamento; la conseguenza è che queste carni non si prestano ad una buona conservazione; oppure possono risultare alterate nel colore e quindi calare di valore commerciale».
Del valore della lana di centinaia di ovini abbattuti in Val dei Mocheni parla invece Rosa Fontana: «La lana viene buttata in discarica e le pecore, agnellini compresi, finiscono macellati solo per le carni. Uno spreco assurdo, oltre che un a cattiveria per quelle povere bestie dagli occhi quasi umani».
Fontana ha iniziato l´attività dell´associazione nel 2000 a Lisignago, in Val di Cembra, e ha riscoperto vecchi mestieri come filare la lana. «Un macello? È sempre una cosa abominevole - prosegue Fontana - questa estate ho raccolto l´impressione di una turista che si aspettava il Trentino delle pubblicità ed è passata vicino ad un macello presso Fiavé: le urla delle bestie macellate erano allucinanti».
Estratto da: L'ADIGE, 26 novembre 2003 (pag.41)
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