Le origini del pensiero antropocentrico
di Franco Libero Manco
Indagando sulle motivazioni che diedero origine al pensiero antropocentrico (per cui l'uomo si ritiene al centro della creazione con il diritto naturale di disporre a suo piacere degli altri esseri viventi) ci si chiede se questa mentalità sia nata con l'uomo o se vi siano stati fatti contingenti che lo hanno portato ad autoattribuirsi tale prerogativa. Di conseguenza ci si chiede perché l'essere umano ritiene che una sofferenza inflitta ingiustamente ad un uomo sia più grave che se la stessa viene inflitta ingiustamente ad un cavallo. Perché violentare, sfruttare, imprigionare, torturare un essere umano viene considerato un fatto esecrabile ed un crimine mentre non lo sono se gli stessi reati vengono commessi nei riguardi di un vitello? Perché l'uomo si sente legittimato a commettere azioni delittuose nei confronti di altre creature ma non tollera che siano applicabili su se stesso? E il fatto di differenziare la gravità dell'offesa a seconda della vittima non è forse il piedistallo di ogni discriminazione e di ogni razzismo?
Non credo sia possibile avere la certezza di dove, quando e perché sia nata nella mente dell'uomo la concezione antropocentrica della vita. Nè credo che questa visione sia un fatto geografico dal momento che tutti, o quasi, i popoli della Terra, anche le popolazioni tribali, in modo più o meno marcato manifestano la convinzione di essere superiori agli animali quando li sfruttano a loro vantaggio. La presunzione di ritenersi superiori a qualcun altro è tanto assurda quanto innaturale e perniciosa, specialmente se questo viene fatto proprio da una religione che dice di professare l'amore, la carità, la giustizia, nè tantomeno da una popolazione civile che non ha alcuna necessità di sopravvivenza per esprimersi in modo crudele nei riguardi delle altre creature.
Il pensiero antropocentrico si può dire nasce con l'ominide ed è andato gradualmente sviluppandosi a mano a mano che questo si accorgeva di essere l'animale più astuto e quindi il più forte perché in grado di organizzare imboscate alle sue prede, di armare le proprie mani con il bastone, di costruirsi rifugi appropriati, di proteggersi il corpo con vestiti. Si sente creatura privilegiata e siccome con l'uomo nasce anche l'idea di Dio le prime preghiere rivolte alla divinità (oltre ad invocare la protezione della stessa contro gli elementi naturali e per la buona riuscita della caccia) furono di lode verso un Creatore così magnanimo nei riguardi della specie umana. Di conseguenza si convince che gli animali e la natura fossero fatti da Dio per essere messi a disposizione dell'uomo, come un'immensa dispensa alla quale attingere a piacimento.
Finché i nostri progenitori restarono nella foresta, e cioè fino a circa un milione di anni fa, si alimentarono secondo la loro natura di animali frugivori. Quando a causa dell'ultima glaciazione l'uomo dovette spostarsi nella savana, per estrema necessità di sopravvivenza dovette alimentarsi anche di carne vivendo di sciacallaggio. Poi capì che poteva uccidere direttamente le sue prede senza aspettare gli avanzi dei felini e si organizzò a predatore. ln questo modo violentò fortissimamente la sua natura pacifica e con gli animali uccise gradualmente anche la sua sensibilità, la sua innata repulsione alla violenza e al sangue.
L'uomo non essendo strutturato dalla natura per essere un animale aggressivo e violento (perché privo di artigli e di denti adatti ad azzannare la preda) ma pacifico come i primati e le scimmie antropoidi, ha attuato con la necessità di dover uccidere gli animali la più rovinosa disarmonia della sua natura. A differenza degli altri animali predatori la cui violenza è circoscritta a specifici episodi (anche perché ogni attacco oltre a richiedere un notevole dispendio di energie mette in pericolo la stessa vita del predatore) non fu lo stesso per l'uomo che essendo ormai ben organizzato ed armato continuò ad uccidere non più per necessità ma per il piacere del palato (specialmente dopo che con la scoperta del fuoco rese gustosa l'orripilante pietanza), seppellendo nella sua coscienza l'orrore della vista del sangue e dell'agonia della sua vittima. Sarebbe come se oggi il pacifico Panda per sopravvivere fosse costretto ad uccidere conigli e selvaggina varia: certo violenterebbe la sua natura e pianpiano si trasformerebbe in un animale aggressivo e violento. Però non essendo strutturato fisiologicamente a mangiare la carne questo alimento inciderebbe in modo devastante sulla sua natura. Infatti dal momento in cui i nostri progenitori inserirono la carne nella loro dieta vi fu un calo a picco della lunghezza media della vita, forse addirittura del 50% per poi tornare a risalire con la scoperta della coltivazione dei vegetali. L'alimento predominante non fu più la carne ma i cereali, il frumento, i tuberi, la frutta: cioè l'uomo ritornò in parte ad alimentarsi secondo la sua natura.
Gli animali più miti catturati dall'uomo, ormai non più cacciatore a tempo pieno, furono rinchiusi in recinti e sfruttati per il loro latte, la loro lana, le loro uova, il lavoro nei campi. La carne divenne gradualmente un alimento raro perché l'animale era, ovviamente, molto più utile e redditizio da vivo.
La carne assunse sempre più il valore di uno status simbol, dal momento che soltanto i ricchi potevano permettersi il lusso di rinunciare ad un capo di bestiame e ad i suoi derivati per farne bistecche. Avendo poi quasi del tutto dimenticato le sue origini di animale frugivoro, l'uomo per millenni ha continuato ad ambire questo alimento nonostante la incompatibilità biologica con il suo organismo.
La moderna tecnologia e la vita nelle metropoli hanno poi dato il colpo fatale al collegamento naturale dell'uomo con la natura. Oggi che la gente nei supermercati acquista la carne in confezioni ben sigillate difficilmente associa la bistecca all'animale che appositamente è stato ucciso.
Delega altri a farlo perché se dovesse ammazzare con le proprie mani l'animale pochi sarebbero i mangiatori di carne, non avendo cancellato del tutto dalla coscienza umana l'innaturale atteggiamento di uccidere un animale che è tipico invece dei carnivori.
Quindi quanto più l'uomo si è staccato dalle sue radici naturali per isolarsi nei contesti urbani, tanto più ha sviluppato in se stesso il concetto antropocentrico della vita ed il disprezzo per tutto ciò che è diverso dall'uomo. Gli animali non sono più i suoi compagni di viaggio, la natura non è più la sua casa, ma strumenti da utilizzare e sfruttare a suo vantaggio. Questo concetto trova poi la sua esatta definizione nella filosofia aristotelica. Aristotele fu il primo a suddividere in classi gerarchiche la natura collocando al primo posto l'uomo, poi l'animale e quindi la pianta. Aristotele parlava di anima intellettuale, anima animale e anima vegetale. Bacone più tardi ritenne opportuno togliere l'anima vegetale e successivamente Cartesio quella animale. Speriamo che a qualcun altro non venga in mente di eliminare anche quella umana.
II solco di demarcazione tracciato da Aristotele tra l'uomo ed il resto della creazione nel corso dei secoli divenne sempre più ampio specialmente in virtù di S. Agostino (più tardi di S. Tommaso, quindi Cartesio ed infine lo stesso Kant) che in modo particolare influenzò il pensiero cristiano: ciò che sta in basso è fatto per ciò che sta in alto; ciò che è diverso dall'uomo è impuro ed imperfetto: dunque disprezzare tutto ciò che è inferiore all'uomo è il modo migliore di servire Dio. E con lo stesso meccanismo con cui Aristotele considera inferiori gli animali, gli ebrei e i negri, giustifica l'inferiorità della donna rispetto all'uomo, dello schiavo rispetto al suo padrone. Dopo di ciò l'uomo ha fatto di tutto per potersi distinguere dagli animali, considerandoli la parte reietta della creazione.
La mentalità antropocentrica la si deve, anche se in parte, attribuire oltre alla cruda legge della natura che ha inclinato l'essere umano ad emulare gli animali secondo la legge del più forte, allo schema piramidale del potere che differenziando su strati sovrapposti le classi dei cittadini sottomette spontaneamente al vertice quelle sottostanti. Ma tale schema è già la conseguenza logica di una mentalità antropocentrica che si identifica solo con il vertice non la causa da cui ha avuto origine.
La diffusione del pensiero antropocentrico nel mondo occidentale va massimamente attribuito alle tre grandi religioni monoteiste: il cristianesimo, l'ebraismo e l'islamismo. In effetti la Bibbia, da cui traggono origine le tre religioni, evidenzia in modo ossessionante una visione maschilista ed antropocentrica. Fin dai primi capitoli abbondano i sacrifici di animali immolati a Dio il quale dimostra di gradire più questi che i pacifici doni della terra offerti ad es. da Caino. Bisogna avere uno stomaco a prova di rigetto per leggere il levitivo: più che un libro sacro sembra il manuale del macellaio.
Ma perché questo aspetto quasi maniacale del popolo ebraico contro gli animali considerati insostituibili capri espiatori di ogni sorta di peccato? Forse Mosé nel tentativo di dare a questo popolo nomade una maggiore dignità umana (in un tempo in cui era consuetudine, specialmente nei popoli limitrofi, l'incesto ed il sacrificio umano) l'animale assumeva in se quella natura animalesca dalla quale l'uomo doveva distaccarsi. Nei sacrifici dunque l'uomo uccide la parte peggiore di se stesso e oltre ad aggraziarsi la divinità si assicura un saporito pasto a base di carne. Purtroppo lo scopo iniziale non resta più circoscritto alle esigenze di assurdi contesti storico-sociali.
Le altre grandi religioni, ed in particolare l'Induismo e il Buddismo, in virtù soprattutto dei testi vedici a cui fanno riferimento, non hanno avuto un'impronta così antropocentrica come le tre religioni monoteiste. Infatti nell'Induismo e nel Buddismo è pressante l'invito a rispettare gli animali, condizione essenziale per meritare la salvezza e le vette della spiritualità. I testi induisti e buddisti ricordano l'identità dell'intima essenza della nostra natura con quella dell'animale. E se oggi gran parte della popolazione di queste religioni si è allontanata dalla visione della fratellanza universale per aprirsi a quella antropocentrica è dovuto principalmente agli influssi del pensiero occidentale che con la sua tecnologia e la sua scienza ha determinato il distacco mentale, fisico e morale dell'uomo dalla sua famiglia d'origine.
La scienza ha però inflitto alla cultura antropocentrica due grandi umiliazioni: quella cosmologica di Copernico, per cui la Terra non è al centro dell'universo, e quella biologica di Darwin che stabilisce la parentela dell'uomo con la scimmia.
Ma perché tuttora persiste in modo così inappellabile l'atteggiamento antropocentrico della Chiesa cattolica da rifiutare a priori qualunque apertura morale che sposta i confini del rispetto dall'uomo agli altri esseri viventi? Probabilmente perché in una religione in cui Dio volge il suo sguardo compiaciuto solo all'uomo al quale sottomette tutte le altre creature e promette la salvezza e il paradiso senza dover rinunciare ad uno dei piaceri fondamentali della vita, quello del mangiar carne, cattura un maggior numero di seguaci.
Quanto maggiori sono le promesse e minori i sacrifici richiesti tanto più adepti si trovano disposti a seguire una dottrina. Daltronde nel tempo lo scopo della Chiesa non è stato tanto quello di rendere l'uomo migliore quanto quello di perpetuare se stessa. Ma anche perché la Chiesa non ha mai disprezzato il sostegno economico dei vari centri di potere.
Dal teocentrismo, base dell'antropocentrismo, si è passati all'egocentrismo, cioè all'assolutizzazione dell'io che viene posto al centro di ogni cosa e per il quale tutto si è disposti a sacrificare. L'antropocentrismo, sinonimo di specismo, diviene di conseguenza la matrice di ogni mentalità razzista. E mentre la scienza e la tecnologia avanzano in modo strepitoso e preoccupante nessuno dei "dotti" si sogna di far avanzare allo stesso modo la sfera morale, come se questa avesse già raggiunto il suo culmine finale.
Perché l'uomo si sente superiore all'animale? Per tre motivi fondamentali:
1) perché ha ucciso il rimorso nella sua coscienza e non è in grado di percepire che il dolore delle sole persone che ama;
2) perché ritiene l'animale privo di un'anima, anche se nessuno è in grado di dimostrare il contrario ne che questa possa essere di natura differente dalla nostra. E se si vuole far riferimento alla Creazione secondo la Bibbia, Dio soffiò nelle narici solo dell'uomo, non della donna, per dotarlo non di anima ma di spirito vivente: motivo di grandi controversie per cui ancora nel Medioevo si discuteva se la donna avesse o no un'anima;
3) gli animali non avendo l'intelligenza umana sono creature inferiori, di poco conto, quindi l'uomo ne può fare ciò che vuole, anche perché così ha stabilito Dio per mezzo dei Profeti che altri hanno sentito parlare.
Ma se è l'intelligenza quella che da all'uomo prerogative di superiorità come si concilia con le persone handicappate, le comatose e tutti coloro che non sono in grado di intendere e volere? Lo stesso Leonardo o Einstein all'età di un anno non avevano pensieri più sublimi di quelli di un cane. Se la nostra intelligenza è superiore a quella di un animale non si può negare loro questa capacità, come non si nega all'anatra la capacità di volare solo perché il gabbiano vola meglio. Essere umano non significa affatto avere attitudini a comportarsi come tale, non è condizione assiomatica.
L'illusione che esistano differenze sostanziali tra gli umani e gli animali viene mantenuta per il timore che le somiglianze creino l'obbligo civile, morale e legale di accordare loro dei diritti e quindi di dover rinunciare ai molti benefici derivanti dal loro sfruttamento, così come è successo per la schiavitù umana. Quando si ammetterà che la differenza è solo quantitativa non avremo più alcuna giustificazione ad adottare criteri differenti nell'affrontare gli stessi problemi.
A dire di Egesippo, S. Agostino ed altri i primi cristiani erano vegetariani. Infatti sarebbe difficile immaginare il figlio di Dio uccidere un povero agnellino per divorarne il cadavere. Dopo che Costantino entrò a pieno titolo nella gestione politica della religione cristiana fu bandito il precetto del non mangiare carne e nel Concilio di Ankara (325) si disse che il non voler mangiare carne era un'oltraggio al Creatore che ci aveva dato gli animali per mangiarli. Successivamente con la caccia spietata contro il vescovo Priscilliano (345-385) giustiziato insieme ai suoi seguaci, la Chiesa pone fine agli sforzi di conservare il vegetarismo nel seno della cristianità. Più tardi la stessa sorte toccò alla setta dei Catari (1052) sterminati soprattutto perché vegetariani: anche in punto di morte si rifiutavano di uccidere un pollo. Infine il 148° Canone del Concilio di Braga (561) introdusse l'obbligo per il clero di nutrirsi di carne pena la scomunica e la destituzione per sospetto di eresia.
L 'ossessione a spingere la gente a mangiare la carne fa supporre che in quel periodo i cristiani fossero inclini a rifiutare questa attitudine e infatti S. Girolamo scrive: "Noi capi cristiani ci asteniamo dal mangiare carne per purezza e misericordia. Mangiare la carne è innaturale e impuro", ma che la Chiesa voleva abolire ad ogni costo. La stessa affermazione di S. Paolo, lascia supporre che in quel periodo, il non mangiar carne era un fatto tutt'altro che marginale: "Colui che mangia di tutto non giudichi colui che non mangia di tutto. Se un cibo scandalizza mio fratello io non mangerò mai più la carne per non scandalizzare mio fratello".
Stando ai 4 testi canonici Cristo in molte circostanze ha evidenziato una mentalità tipicamente antropocentrica: vedi l'episodio dei porci e la pesca miracolosa, dell'albero del fico senza frutti ecc.
Stando invece ai testi non ufficiali (furono scritti ben 49 vangeli sulla vita di Cristo), questi era sicuramente vegetariano. Ciò deriva oltre che dai vangeli apocrifi, dagli scritti della chiesa primitiva, dal Vangelo della Pace, dal Vangelo degli Esseni, dagli scritti di Qumran. In ogni caso, istituendo l'Eucaristia con il pane e il vino Cristo pone indiscutibilmente fine ai sacrifici cruenti.
Estratto da: Biocentrismo, l'alba della nuova civiltà umana
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