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Fame nel mondo e consumo di carne


ALLEVAMENTI, ALIMENTAZIONE CARNEA E FAME NEL MONDO


GLI ANIMALI DEI PAESI INDUSTRIALIZZATI MANGIANO IL GRANO DEI POVERI DEL TERZO MONDO. MA PRESTO DOVREMO SCEGLIERE TRA NUTRIRE UOMINI O ANIMALI- NESSUN POPOLO E’ PIU’ RICATTABILE DI UN POPOLO CHE HA FAME



di Franco Libero Manco


LA SITUAZIONE

Nel 1800 la popolazione mondiale era di 900 milioni di individui; nel 1900 di 1,6 miliardi, nel 2000 di 6,5 miliardi; nel 2025 si presume che vi saranno 10 miliardi di individui. Di fronte all’inarrestabile incremento demografico il genere umano sarà costretto ad attuare una scelta dalla quale può dipendere la sua stessa sopravvivenza: continuare a produrre alimenti per ingrassare gli animali oppure cibo per gli esseri umani. Gli scienziati sono concordi nel dire che è tecnicamente possibile nutrire tutta l’umanità (a patto che questa sia vegetariana)e che la fame nel mondo non è una questione di produzione ma di distribuzione delle risorse. Infatti il pianeta fornisce cereali a sufficienza per dare ad ogni essere umano una razione quotidiana di 3000 Kcal e circa il doppio dei suoi bisogni ottimali di proteine. Chi non dispone di 2000 Kcal soffre di sottonutrizione. La demografia esplode nel terzo mondo mentre regredisce nei paesi industrializzati e questo fa capire che il futuro dell’umanità appartiene ai paesi emergenti.

Le eccedenze alimentari agricole americane costituiscono l’indispensabile risorsa per le popolazioni affamate e, se vogliamo, per mantenere la pace nel mondo. Ma gli USA potranno sempre servirsi dell’arma alimentare per richiamare all’ordine un paese amico che fosse tentato di virare al rosso. I paesi del 3° Mondo dipendono da quelli ricchi per una parte sempre maggiore del loro approvvigionamento di derrate alimentari: il 60% degli aiuti alimentari nel terzo mondo vengono dagli stati Uniti, poi dall’Unione Europea e dal Canada. Ma il nord non può nutrire indefinitamente un sud la cui popolazione continua a crescere e di distruggere il suo ambiente naturale con l’eccessivo sfruttamento anarchico dei suoli. Inoltre, questo sistema aumenta la dipendenza alimentare, crea una mentalità di assistiti e modifica radicalmente le abitudini alimentari degli stessi assistiti: il prezzo molto basso di grano importato scoraggia il consumo e la produzione di cereali tradizionali locali, come il mais, il miglio, l’avena ecc.

Per nutrire 10 miliardi di individui bisogna dar vita ad una nuova società economa di energia ma soprattutto con profonde modifiche sul piano delle abitudini alimentari, sia nei paesi ricchi che in quelli poveri. La generalizzazione del sistema vegetariano risulta essere la sola ed unica possibile soluzione applicabile subito e con beneficio per tutti. Ostinarsi a tenere in vita il regime onnivoro è un suicidio e una follia individuale oltre che collettiva; infatti occorrono 7 calorie vegetali per produrre una sola caloria animale, questo vuol dire che in un mondo affamato, nella produzione dell’alimento carneo 6 calorie vanno perse. Un ettaro di terreno utilizzato per la coltura della soia produce 28 volte più proteine (di alto valore biologico) che se fosse utilizzato per l’allevamento bovino.

Di fronte a questa preoccupante prospettiva presto l’umanità dovrà scegliere questa strada, perché non vi è altra strada da scegliere: l’umanità del futuro sarà vegetariana o non sarà affatto. L’elaborazione di un nuovo progetto di società diventa imperativo. Infatti quando le materie prime e l’energia scarseggeranno, il che è inevitabile, si bloccherà il meccanismo della società dei consumi.

Il controllo demografico del pianeta è una condizione sine qua non alla restaurazione di un equilibrio ecologico ormai compromesso su scala mondiale.


LO SPRECO DI RISORSE

Di fronte ai crescenti bisogni alimentari del terzo mondo non è più possibile consentire l’enorme spreco di cerali destinati agli animali d’allevamento, infatti questi consumano il 35% della produzione cerealicola mondiale e a questi si aggiungono le farine di pesce, di carne, di latte, di panelli di soia, di arachidi, di girasole ecc. Nell’allevamento intensivo la produzione di carne causa uno spreco insostenibile: il rendimento medio è solo del 10%. Secondo il dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti ci vogliono 16 kg di miscugli di cereali e soia per ottenere un solo kg di carne di bue; 6 kg per un kg di maiale, 4 per un kg di tacchino, 3 per produrre un kg di pollo o di uova. Sarebbe dunque molto più ragionevole, razionale, vantaggioso, produrre cereali invece che carne al fine di nutrire l’umanità: ma lo scopo dei produttori di alimenti non é questo. L’agricoltura americana non può essere presa a modello perché la sua generalizzazione su scala mondiale assorbirebbe l’80% dell’energia ora consumata nel mondo: costituirebbe una minaccia per l’intero pianeta e rovinerebbe finanziariamente il terzo mondo. Nei paesi dell’OCSE la maggior parte delle produzioni vegetali sono destinate all’alimentazione animale: solo il 20% dell’energia consumata nel settore agricolo è impiegata per la produzione di vegetali consumati direttamente dall’uomo.


I RESPONSABILI

Questa situazione ha tre cause principali: l’esplosione demografica, la crescente concentrazione di ricchezze nelle mani di pochi privilegiati (in Colombia il 66% delle terre coltivabili appartiene al 3,6% dei proprietari, in Argentina il 75% appartiene all’1,8%) e la corruzione dei dirigenti politici del terzo mondo che trascurano la produzione di alimenti tradizionali adatti all’alimentazione del loro popolo per favorire investimenti orientati verso merci di lusso destinate all’esportazione. Le classi al potere frenano le riforme e incoraggiano solo miglioramenti tecnologici; gli affamati non sono rappresentati a livello politico, sono gli affamatori che parlano per loro. La maggior parte dei paesi in via di sviluppo (sotto la costante pressione delle multinazionali agroalimentari e zootecniche, allettate dai forti interessi economici e di appoggi politici) opta per la produzione di derrate redditizie, destinate all’esportazione. Così i contadini sono costretti ad estendere sempre più le superfici destinate alle monocolture per poter pagare le importazioni di cereali e le aree destinate alla coltivazione di derrate alimentari umane si restringono sempre più. Per l’insopportabile indebitamento molti contadini, specialmente dell’India, arrivano al suicidio. Inoltre: l’aiuto alimentare internazionale soffre di mancanza di coordinamento e di unanimità di obiettivi.


AUMENTO DEL COSTO DELL’ ENERGIA

L’enorme costo energetico degli allevamenti intensivi li renderà sempre meno competitivi rispetto agli allevamenti classici a causa del costante aumento del costo di energia. I settori più minacciati sono quelli delle produzioni animali e delle produzioni sotto serra. I trasporti degli alimenti a grandi distanze in un futuro non saranno più possibili. Dopo l’esaurimento delle fonti di energia non rinnovabili, la carne diventerà un prodotto raro e caro, accessibile solo alle persone abbienti. Anche il ritorno all’allevamento tradizionale farà aumentare il prezzo della carne. Gli ultimi amatori della carne accetteranno di pagarla a caro prezzo. A causa degli alti costi, la produzione di carne diminuirà in ogni paese del mondo e questo provocherà una inevitabile crisi delle industrie della carne e una conversione dei terreni ora adibiti a pascolo.


LE POSSIBILI SOLUZIONI

La semplice soppressione degli allevamenti in batteria non basterà a nutrire l’umanità e il Terzo Mondo: occorre ridurre la pratica dell’allevamento sotto ogni forma, perché gli animali saranno sempre in competizione con l’umanità in un pianeta le ci risorse sono limitate e destinate presto a finire. Non è solo questione di carburanti alternativi ma di un modello basato sulla riduzione delle risorse utilizzate e soprattutto di fermare l’incremento demografico e uniformarsi a stili di vita compatibili con le possibilità del nostro pianeta. Una logica inesorabile ci dice che a mano a mano che aumenta il numero dei conviviali occorre ridurre la parte di ognuno. Quando le porzioni raggiungeranno la soglia minima vitale ci sarà tensione, violenza e guerra.

Se i paesi industrializzati riducessero gli allevamenti non dovrebbero più importare tanti alimenti per il bestiame di provenienza dai paesi de Terzo Mondo: questi ultimi dovrebbero orientare necessariamente la loro produzione verso alimenti destinati direttamente all’uomo. Il prezzo della terra nei paesi in via di sviluppo si ridurrebbe e i piccoli agricoltori potrebbero tornare all’agricoltura tradizionale e sarebbero in grado di nutrire se stessi e le loro famiglie. Ma numerosi speculatori perderebbero molto denaro.

Per motivare il contadino a lavorare di più e a spendere di più per la sua agricoltura sarebbe necessario eliminare i vari ostacoli, che sono di natura politica, socio-culturale ed economica quali: mancanza di libertà politica; esistenza di potenti avversari dell’emancipazione contadina; politica dei trasporti inadeguata; politica fiscale inadeguata; esistenza di zone controllate da guerriglieri; divisioni razziali; instabilità politica; burocrazia farraginosa. Queste sono le principali problematiche che spingono i contadini ad abbandonare le colture tradizionali per orientarsi verso la produzione di derrate alimentari destinate alle classi medie e ricche delle zone urbane.

Quindi occorre:

- istituire un’Autorità Alimentare Mondiale che possa incoraggiare la produzione di alimenti umani e che possa acquistare le eccedenze di cereali e panelli per distribuirli ai più poveri;

- colpire con pesanti tasse i prodotti animali e derivati per prevenire malattie pletoriche nei paesi ricchi e malattie da carenza in quelli poveri;

- frenare l’esplosione demografica;

- mettere temine allo sfruttamento anarchico delle terre del Terzo Mondo e alla deforestazione;

- garantire la sicurezza del possesso della terra ai contadini;

- lotta efficace contro la speculazione;

- intraprendere negoziati diretti tra Paesi produttori e consumatori.

Più aumenterà il numero dei vegetariani e più i politici si sentiranno sollecitati a proporre leggi che favoriscano l’abbandono della produzione dell’alimento carneo per aderire all’unico possibile: quello vegetariano.


Spunti tratti dal libro di Jacqueline Andrè “Sette miliardi di vegetariani” Giannone Editore



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