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L'autonomia degli animali è il nostro ultimo tabù


da Repubblica del 27/02/2001

«Se non avessimo accettato, nel corso delle generazioni, di veder soffocare gli animali nei vagoni bestiame, o spezzarvisi le gambe come succede a tante mucche e cavalli mandati al mattatoio in condizioni assolutamente infernali, nessuno, neppure i soldati addetti alla scorta, avrebbe sopportato i vagoni piombati degli anni 1940-1945».

Così, qualche anno fa, sfidando il paradosso e i tabù del politicamente corretto, Marguerite Yourcenar ha osato l'inosabile: accomunare la sorte dell'uomo e quella degli animali, fare dell'Altro una parte del Sé. Non era la prima. Nel corso dei secoli il pensiero occidentale, oggi tacciato di ogni nefandezza dai convertiti del New age, aveva lasciato cadere briciole rivelatrici, presto dimenticate dalle religioni e dalle filosofie trionfanti.

E' seguendo quelle briciole, dai misteri orfici a Pitagora, da Platone ai neoplatonici, che Gino Ditadi ricerca oggi un approdo diverso al rapporto tra uomini e animali, «e non spiega per fare del classicismo, ma perché credo che possano costituire il fondamento di un'azione, le basi filosofiche di un cambiamento dell'esistente».

Insegnante di filosofia a Padova e studioso del rapporto tra filosofia e mondo animale (ha curato, tra le altre, la prima edizione critica degli scritti sugli animali di Plutarco, pubblicata dalla casa editrice Isonomia col titolo «L'intelligenza degli animali e la giustizia loro dovuta»), Ditadi era ieri a Firenze, dove ha aperto i lavori del convegno dedicato a «Il pensiero religioso e gli animali», per ribadire la necessità, e fissare i fondamenti, di un nuovo patto sociale.

Il panico collettivo da mucca pazza ha spinto alcuni, oltre che lontano dalle macellerie, nelle anticamere dei mattatoi, negli allevamenti industriali, a ritroso lungo la catena invisibile che dalla braciola conduce al dolore di un essere vivente.
Ma non basta: «E' vero commenta Ditadi c'è una nuova attenzione per i diritti degli animali, e il solo fatto che se ne parli, dopo secoli di silenzio, un silenzio sottoscritto anche e soprattutto dalle religioni, è già qualcosa. Forse è perché l'umanità sente di essere sull'orlo dell'abisso; avvertiamo confusamente un pericolo gravissimo, e al tempo stesso il bisogno di un ingentilimento del mondo, di un aumento di civiltà.

Ma abolire il consumo di carne, non comprare pellicce, sono solo gradini, punti di partenza. La questione essenziale è riconoscere il valore intrinseco della vita degli animali. Che essi abbiano interessi, capacità di pensare, decidere, ricordare, qualità morali e sociali, che siano coscienti del dolore e della morte, sono ormai dati acquisiti, non più luoghi comuni da salotto, da confinare magari nel comodo ghetto della "subcultura" degli "amici degli animali"».

Infatti non è una questione di amicizia, meno che mai di pietà, «a meno che prosegue Ditadi si intenda la pietà non come il gesto condiscendente verso un essere inferiore, ma come l'inizio di un'apertura verso l'altro». E' questione di scelte politiche e, più a fondo, di una rivoluzione del pensiero.

«Il movimento animalista avrà fatto la sua vera rivoluzione, e ci stiamo arrivando, quando sarà in grado di vedere la condizione degli animali e quella dell'uomo come un unico problema. C'è un legame strettissimo, nella nostra civiltà, tra il mangiare i corpi degli animali e il massacrare gli uomini in guerra.

Lo stesso legame che corre tra la sopraffazione delle bestie e l'esclusione dal patto eticopolitico di soggetti ritenuti inaffidabili: gli schiavi, le donne, i neri, gli stranieri. In altre parole, i rapporti tra uomo e animale riflettono quelli esistenti tra gli uomini».

Il riconoscimento dell'autonomia della vita animale, la rinuncia al pregiudizio secondo cui le bestie sono al mondo per nutrirci, coprirci, servirci, è dunque l'ultimo tabù della società degli uomini: «La questione animale, apparentemente innocua, è in realtà un argomento esplosivo, perché mette in moto una revisione totale dei fondamenti della civiltà. In questo la religiosità del mondo antico e la migliore filosofia greca hanno molto da insegnarci. Meno, purtroppo le religioni monoteiste, che a un certo punto, inesplicabilmente, si sono dimenticate del creato.

Comunque sia, occorre ridiscutere il ruolo attribuito alla ragione e all'anima, l'importanza del linguaggio, la centralità dell'uomo nell'universo, ma anche il significato dell'uguaglianza, la necessità della sua estensione ad ogni soggetto vivente, le ragioni stesse, insomma della nostra civiltà, che conosce perfettamente il "come", ma ha dimenticato il "dove" andare».

Beatrice Manetti



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