Anche la pianta soffre
di Franco Libero Manco
Coloro che mangiano la carne, in un estremo tentativo di giustificare la loro propensione a consumare tale prodotto, usano spesso ribadire il concetto che anche la pianta soffre e quindi noi vegani per essere coerenti con i nostri principi non dovremmo nutrirci nemmeno delle piante. Ed è vero che anche la pianta, come tutti gli esseri viventi che hanno vita propria vuole vivere e non morire e il dolore è lo strumento offerto dalla natura per conservare se stessi per evitare di lasciarsi uccidere senza reagire.
Fin dal 1956 è stato sperimentalmente provato che le piante hanno sensazioni, memoria, paura, dolore e perfino di simpatia o avversione. Attraverso elettrodi, in particolare di un galvanometro, Franklin Lother registraò le alterazioni energetiche di molte piante quando stanno per essere violentate. Lother sorteggiò tra sei volontari quello che avrebbe dovuto danneggiare una pianta in presenza di un’altra pianta. Ognuna delle persone scelte fu poi fatta avvicinare a turno alle le due piante. Quando si avvicinò il malfattore gli elettrodi tracciarono alterazioni anomale, come se la pianta fosse impazzita. Non solo. La pianta emise vibrazioni di terrore nel momento stesso in cui il suo sperimentatore pensò di bruciargli una foglia. L’identica reazione fu registrata in un altro esperimento quando nell’acqua bollente di una pentola furono immersi dei gamberetti, questo sembra dimostrasse il collegamento telepatico tra pianta ed animali. In modo particolare la mimosa pudica si ritrae visibilmente se toccata, ma se l’operazione si ripete senza danno è come se riconoscesse l’azione e la sua forma resta inalterata.
Sembra che vi sia un linguaggio interspecista nei santuari della natura, un legge di solidarietà tra il mondo vegetale e animale. La cronaca riporta il caso del salice che lancia il suo grido di aiuto ai gatti del circondario che impediscono al padrone di tagliarlo. Del gatto di 4 anni in collegamento telepatico con il filodendro: quando il gatto dormiva la padrona andò in silenzio in cucina e tagliò i bordi di una foglia. Il gatto arrivò come una catapulta e trovando la porta chiusa miagolava come impazzito scagliandosi a testa bassa contro la porta. Un altro episodio ricorda una donna che quando si dimenticava di annaffiare le piante il gatto la portava vicino alla brocca dell’acqua. Spesso la padrona trovava la scodellina dell’acqua rovesciata vicino la pianta più bisognosa.
Un bosco, una foresta o un prato a noi sembrano luoghi dove regni il silenzio solo perché non siamo in grado di percepire il continuo ed assordante linguaggio delle piante. Esse comunicano tra loro avvisandosi a vicenda dei pericoli provenienti dall’uomo o da altri animali predatori. E la neurobiologia vegetale oggi è in grado di registrare non solo il grido di dolore, chimico, di una pianta violentata ma mediante sintetizzatori anche il linguaggio. Però forse non si può porre sulla stessa bilancia la vita del cavolfiore con quella della mucca. Forse c’è una differenza tra la sofferenza di una lattuga, che viene recisa e quella di un cavallo, che viene ucciso: il cavallo, la mucca, il maiale ecc. hanno meccanismi fisici, chimici, neurologici e ricettori del dolore molto più sviluppati che nella pianta. A parte la vistosa potatura che non causa quasi mai la morte della pianta, vi sono piante d’alto fusto, come l’eucalipto o il pioppo, che anche se grandemente mutilate, anche se tagliate totalmente all’altezza del tronco, non muoiono, anzi riemergono più rigogliose di prima. Ma se ad un animale viene recisa una zampa o un braccio ad un essere umano essi sicuramente soccombono.
Ma nella inesorabile legge della vita, del dolore e della morte gli esseri umani hanno il privilegio di essere le sole creature a poter rinunciare alla violenza anche nei confronti delle piante. Questa è la filosofia dei fruttariani che dimostrano concretamente che si può vivere anche senza recidere le piante, che è poi il punto di arrivo di ogni vegetariano e vegano ed il ritorno alla vera e compatibile alimentazione dell’uomo sia sotto l’aspetto etico che salutistico.
3 ottobre 2012
Coloro che mangiano la carne, in un estremo tentativo di giustificare la loro propensione a consumare tale prodotto, usano spesso ribadire il concetto che anche la pianta soffre e quindi noi vegani per essere coerenti con i nostri principi non dovremmo nutrirci nemmeno delle piante. Ed è vero che anche la pianta, come tutti gli esseri viventi che hanno vita propria vuole vivere e non morire e il dolore è lo strumento offerto dalla natura per conservare se stessi per evitare di lasciarsi uccidere senza reagire.
Fin dal 1956 è stato sperimentalmente provato che le piante hanno sensazioni, memoria, paura, dolore e perfino di simpatia o avversione. Attraverso elettrodi, in particolare di un galvanometro, Franklin Lother registraò le alterazioni energetiche di molte piante quando stanno per essere violentate. Lother sorteggiò tra sei volontari quello che avrebbe dovuto danneggiare una pianta in presenza di un’altra pianta. Ognuna delle persone scelte fu poi fatta avvicinare a turno alle le due piante. Quando si avvicinò il malfattore gli elettrodi tracciarono alterazioni anomale, come se la pianta fosse impazzita. Non solo. La pianta emise vibrazioni di terrore nel momento stesso in cui il suo sperimentatore pensò di bruciargli una foglia. L’identica reazione fu registrata in un altro esperimento quando nell’acqua bollente di una pentola furono immersi dei gamberetti, questo sembra dimostrasse il collegamento telepatico tra pianta ed animali. In modo particolare la mimosa pudica si ritrae visibilmente se toccata, ma se l’operazione si ripete senza danno è come se riconoscesse l’azione e la sua forma resta inalterata.
Sembra che vi sia un linguaggio interspecista nei santuari della natura, un legge di solidarietà tra il mondo vegetale e animale. La cronaca riporta il caso del salice che lancia il suo grido di aiuto ai gatti del circondario che impediscono al padrone di tagliarlo. Del gatto di 4 anni in collegamento telepatico con il filodendro: quando il gatto dormiva la padrona andò in silenzio in cucina e tagliò i bordi di una foglia. Il gatto arrivò come una catapulta e trovando la porta chiusa miagolava come impazzito scagliandosi a testa bassa contro la porta. Un altro episodio ricorda una donna che quando si dimenticava di annaffiare le piante il gatto la portava vicino alla brocca dell’acqua. Spesso la padrona trovava la scodellina dell’acqua rovesciata vicino la pianta più bisognosa.
Un bosco, una foresta o un prato a noi sembrano luoghi dove regni il silenzio solo perché non siamo in grado di percepire il continuo ed assordante linguaggio delle piante. Esse comunicano tra loro avvisandosi a vicenda dei pericoli provenienti dall’uomo o da altri animali predatori. E la neurobiologia vegetale oggi è in grado di registrare non solo il grido di dolore, chimico, di una pianta violentata ma mediante sintetizzatori anche il linguaggio. Però forse non si può porre sulla stessa bilancia la vita del cavolfiore con quella della mucca. Forse c’è una differenza tra la sofferenza di una lattuga, che viene recisa e quella di un cavallo, che viene ucciso: il cavallo, la mucca, il maiale ecc. hanno meccanismi fisici, chimici, neurologici e ricettori del dolore molto più sviluppati che nella pianta. A parte la vistosa potatura che non causa quasi mai la morte della pianta, vi sono piante d’alto fusto, come l’eucalipto o il pioppo, che anche se grandemente mutilate, anche se tagliate totalmente all’altezza del tronco, non muoiono, anzi riemergono più rigogliose di prima. Ma se ad un animale viene recisa una zampa o un braccio ad un essere umano essi sicuramente soccombono.
Ma nella inesorabile legge della vita, del dolore e della morte gli esseri umani hanno il privilegio di essere le sole creature a poter rinunciare alla violenza anche nei confronti delle piante. Questa è la filosofia dei fruttariani che dimostrano concretamente che si può vivere anche senza recidere le piante, che è poi il punto di arrivo di ogni vegetariano e vegano ed il ritorno alla vera e compatibile alimentazione dell’uomo sia sotto l’aspetto etico che salutistico.
3 ottobre 2012
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