Diventate vegetariani e salverete la Terra
MILANO - Un giorno di cibo vegetariano alla settimana per salvare la Terra dall' effetto serra. La crociata viene rilanciata da Paul McCartney: per dare un futuro al mondo bisogna rinunciare alla bistecca. «Lo dice persino l' Onu», sostiene l' ex Beatles. Un giorno d' insalata alla settimana per salvare il pianeta.
Nell' era dell' effetto serra, dei prezzi alimentari alle stelle e del Polo Nord che si scioglie come un ghiacciolo all' orzata nella canicola d' agosto, Paul McCartney - risolti i suoi guai patrimonial-matrimoniali - rilancia la vecchia crociata della scelta vegetariana. Una volta era questione di religione (come per i 150milioni di indù che non mangiano carne) o di moda. Oggi, dice lui, il problema è un altro: c' è da garantire un futuro al mondo. Come? Dando l'addio alla bistecca. «Lo chiede persino l' Onu - ha proclamato l' ex-Beatles, che da anni ha scelto un regime alimentare "verde" - Se vogliamo combattere i cambiamenti climatici dobbiamo mangiare meno carne. Magari eliminandola dalla nostra dieta del lunedì. È un'abitudine da prendere, come andare in palestra e per di più si fa del bene al globo».
Dargli torto - dati alla mano - è difficile. Certo, vista dalla tavola di casa nostra la situazione non sembra poi così nera: un vassoio di salumi, un filetto al sangue o un pollo ai ferri sembrano piatti normali, sono buoni e (in apparenza) sani. Eppure, scientificamente parlando, Paul McCartney ha ragione. Un carpaccio di manzo inquina più di un Suv. Un hamburger divorato al tavolino di un fast food rischia di essere più destabilizzante per gli equilibri geopolitici mondiali di un conflitto locale nel Corno d' Africa. E i vegetariani (centinaia di milioni nel mondo, 2,9 milioni per l'Eurispes in Italia) sono i nuovi Gandhi del terzo millennio.
Terrorismo gastronomico? Tutt' altro. La tavola è un business e la carne è il suo status symbol più ambito, il termometro della ricchezza di un paese. Nel 1961 il mondo ne consumava 71 milioni di tonnellate, oggi siamo a quota 248 milioni di tonnellate, cifra destinata a raddoppiare nel 2050. Niente di male, naturalmente, se non fosse che questa metamorfosi alimentare ha cambiato per sempre il pianeta, mettendo in allarme non solo l' ex-Beatles e le comunità salutiste ma anche i grandi organismi internazionali come la Fao. Il problema - al di là del rispetto per la vita degli animali - è quello più pragmatico dell' allocazione delle risorse. Una bistecca ne consuma molte più di una scodella di insalata o di un piatto di pastasciutta. E - come dimostra la folle corsa dei prezzi delle materie prime alimentari di questi mesi - non si tratta di risorse inesauribili.
Prendiamo l' acqua: per produrre un chilo di carne se ne consumano 20mila litri contro i 200 circa che bastano per mettere in tavola un chilo di lattuga. Passiamo al frumento, protagonista negli ultimi dodici mesi di un rialzo (+170%%) che non ha nulla da invidiare a quello del petrolio. Nel 2008 (stime Fao) il mondo ne produrrà circa 2,13 miliardi di tonnellate di cui però solo 1 miliardo verranno trasformate in pane, spaghetti o biscotti. Circa 100 miliardi, invece, andranno ad arricchire l' industria dei biocarburanti mentre ben 760 milioni finiranno nei silos e nelle mangiatoie degli allevamenti di bestiame in tutto il mondo. Peccato che per far ingrassare di mezzo chilo un manzo servano circa quattro chili di cereali e che un vitellone ben pasciuto da 475 chilogrammi arriva al macello dopo aver ruminato nella sua breve vita quasi 1.300 chili di derivati dal frumento. Uno spreco "energetico" che diventa un rischio sociale in quei paesi del terzo mondo dove la corsa dei prezzi del grano non è solo una questione di dieta ma piuttosto di sopravvivenza quotidiana.
L'inglese "The vegetarian Society" ha calcolato che la Gran Bretagna riuscirebbe a sfamare tutti i suoi abitanti con un regime vegetariano coltivando la metà (3 milioni di ettari) della terra che si lavora oggi senza riuscire - peraltro - a regalare al paese l' indipendenza alimentare. Il lunedì verde di McCartney però ha un altro obiettivo. Un mondo vegetariano - o perlomeno un mondo che consuma meno carne - è un mondo più pulito.
Anche in questo caso basta un dato a fotografare il problema: gli allevamenti di bestiame sono responsabili per il 18% della produzione dei gas che causano l' effetto serra. Più di quelli prodotti dalle macchine, dai camion e dagli aerei sulle strade e nei cieli del mondo. L' economista Jeremy Rifkin è categorico: «La carne inquina più del petrolio, andrebbe tassata come la benzina». Non ha tutti i torti: l' istituto superiore di Agricoltura e allevamento di Tokyo ha calcolato, per rimanere in tema, che un chilo di manzo (più o meno il taglio di un buon arrosto sulla tavola di una famiglia italiana la domenica) genera emissioni di diossido di carbonio pari a una macchina che viaggia per 250 chilometri e brucia l' energia necessaria per tenere accesa per 20 giorni una lampadina da 100 watt. Senza contare i vantaggi ambientali derivati da un miglior uso della terra: per l' università di Cornell una dieta vegetariana "impegna" la produzione di mezzo ettaro di terra l'anno contro gli 1,3 di chi si trova nel piatto due etti e mezzo di carne al giorno. Senza contare che mucche, pecore, capre e maiali occupano oggi da soli il 26% delle terre emerse non coperte da ghiacci.
Non è un caso forse se la bandiera di un'alimentazione a base vegetale - prima che si scomodasse l' ex Beatles - è stata sventolata anche da una testa fine come Albert Einstein: «Nulla darà più possibilità di sopravvivenza alla terra quanto un' evoluzione verso una dieta vegetariana», diceva con la solita preveggenza.
Un pianeta con meno bistecche e più insalata, però, non è solo una garanzia di lunga vita per il pianeta ma anche, meno prosaicamente, per chi sceglie di seguire i consigli di McCartney. I vecchi luoghi comuni secondo cui un'alimentazione priva di carne partorisce uomini scheletrici e fanciulle esangui sono scientificamente sfatati da tempo. L'American Dietetic Association ha riabilitato la dieta "verde" dal 1990 efinendola «equilibrata». Il resto lo dicono le statistiche.
Uno studio della Oxford Vegetarian society su 11mila persone durato 20 anni ha dimostrato che i morti per malattie cardiache sono il 43% in meno tra i vegetariani. Merito, come ovvio, del minor tasso di colesterolo nel sangue. Gli avventisti del settimo giorno - una confessione dove il no alla bistecca è una questione religiosa - sono uno dei campioni di popolazione a stelle e strisce dove l' incidenza di ischemie e di tumori al colon e alla mammella è minore. E quanto ai fisici scheletrici, il problema del terzo millennio, come sappiamo, è l' opposto: l' obesità. E anche qui i numeri la dicono lunga: il girovita abbondante è un problema per il 18% degli americani ma solo (si fa per dire) del 6% di quelli che mangiano solo vegetali. Cifre importanti che per un Occidente che spende l' 1% del Pil per combattere le conseguenze sanitarie e sociali della pinguedine.
Statistiche e ritorni economici non sono però l' unica stella polare che guida l' esercito in crescita (soprattutto tra le teen-ager) dei vegetariani. L' utopia resiste ancora. «Come sarebbe la terra se nessuno mangiasse carne? La prima immagine che mi viene in mente è quella di un pianeta senza conflitti», dice Carmen Somaschi, presidente dell' Associazioni vegetariani italiani.
Fare l' amore e non la guerra, come si diceva all' epoca dei figli dei fiori. E se proprio si è vegetariani e non si trova l' anima gemella, non ci sono problemi. Il futuro è già qui: il sito "www. greensingles. com" organizza appuntamenti galanti per accoppiare gli sfidanzati anti-bistecca. Se ci si affretta, magari, si trova anche McCartney in lista.
ETTORE LIVINI
Repubblica — 25 giugno 2008
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/06/25/047diventate.html
Nell' era dell' effetto serra, dei prezzi alimentari alle stelle e del Polo Nord che si scioglie come un ghiacciolo all' orzata nella canicola d' agosto, Paul McCartney - risolti i suoi guai patrimonial-matrimoniali - rilancia la vecchia crociata della scelta vegetariana. Una volta era questione di religione (come per i 150milioni di indù che non mangiano carne) o di moda. Oggi, dice lui, il problema è un altro: c' è da garantire un futuro al mondo. Come? Dando l'addio alla bistecca. «Lo chiede persino l' Onu - ha proclamato l' ex-Beatles, che da anni ha scelto un regime alimentare "verde" - Se vogliamo combattere i cambiamenti climatici dobbiamo mangiare meno carne. Magari eliminandola dalla nostra dieta del lunedì. È un'abitudine da prendere, come andare in palestra e per di più si fa del bene al globo».
Dargli torto - dati alla mano - è difficile. Certo, vista dalla tavola di casa nostra la situazione non sembra poi così nera: un vassoio di salumi, un filetto al sangue o un pollo ai ferri sembrano piatti normali, sono buoni e (in apparenza) sani. Eppure, scientificamente parlando, Paul McCartney ha ragione. Un carpaccio di manzo inquina più di un Suv. Un hamburger divorato al tavolino di un fast food rischia di essere più destabilizzante per gli equilibri geopolitici mondiali di un conflitto locale nel Corno d' Africa. E i vegetariani (centinaia di milioni nel mondo, 2,9 milioni per l'Eurispes in Italia) sono i nuovi Gandhi del terzo millennio.
Terrorismo gastronomico? Tutt' altro. La tavola è un business e la carne è il suo status symbol più ambito, il termometro della ricchezza di un paese. Nel 1961 il mondo ne consumava 71 milioni di tonnellate, oggi siamo a quota 248 milioni di tonnellate, cifra destinata a raddoppiare nel 2050. Niente di male, naturalmente, se non fosse che questa metamorfosi alimentare ha cambiato per sempre il pianeta, mettendo in allarme non solo l' ex-Beatles e le comunità salutiste ma anche i grandi organismi internazionali come la Fao. Il problema - al di là del rispetto per la vita degli animali - è quello più pragmatico dell' allocazione delle risorse. Una bistecca ne consuma molte più di una scodella di insalata o di un piatto di pastasciutta. E - come dimostra la folle corsa dei prezzi delle materie prime alimentari di questi mesi - non si tratta di risorse inesauribili.
Prendiamo l' acqua: per produrre un chilo di carne se ne consumano 20mila litri contro i 200 circa che bastano per mettere in tavola un chilo di lattuga. Passiamo al frumento, protagonista negli ultimi dodici mesi di un rialzo (+170%%) che non ha nulla da invidiare a quello del petrolio. Nel 2008 (stime Fao) il mondo ne produrrà circa 2,13 miliardi di tonnellate di cui però solo 1 miliardo verranno trasformate in pane, spaghetti o biscotti. Circa 100 miliardi, invece, andranno ad arricchire l' industria dei biocarburanti mentre ben 760 milioni finiranno nei silos e nelle mangiatoie degli allevamenti di bestiame in tutto il mondo. Peccato che per far ingrassare di mezzo chilo un manzo servano circa quattro chili di cereali e che un vitellone ben pasciuto da 475 chilogrammi arriva al macello dopo aver ruminato nella sua breve vita quasi 1.300 chili di derivati dal frumento. Uno spreco "energetico" che diventa un rischio sociale in quei paesi del terzo mondo dove la corsa dei prezzi del grano non è solo una questione di dieta ma piuttosto di sopravvivenza quotidiana.
L'inglese "The vegetarian Society" ha calcolato che la Gran Bretagna riuscirebbe a sfamare tutti i suoi abitanti con un regime vegetariano coltivando la metà (3 milioni di ettari) della terra che si lavora oggi senza riuscire - peraltro - a regalare al paese l' indipendenza alimentare. Il lunedì verde di McCartney però ha un altro obiettivo. Un mondo vegetariano - o perlomeno un mondo che consuma meno carne - è un mondo più pulito.
Anche in questo caso basta un dato a fotografare il problema: gli allevamenti di bestiame sono responsabili per il 18% della produzione dei gas che causano l' effetto serra. Più di quelli prodotti dalle macchine, dai camion e dagli aerei sulle strade e nei cieli del mondo. L' economista Jeremy Rifkin è categorico: «La carne inquina più del petrolio, andrebbe tassata come la benzina». Non ha tutti i torti: l' istituto superiore di Agricoltura e allevamento di Tokyo ha calcolato, per rimanere in tema, che un chilo di manzo (più o meno il taglio di un buon arrosto sulla tavola di una famiglia italiana la domenica) genera emissioni di diossido di carbonio pari a una macchina che viaggia per 250 chilometri e brucia l' energia necessaria per tenere accesa per 20 giorni una lampadina da 100 watt. Senza contare i vantaggi ambientali derivati da un miglior uso della terra: per l' università di Cornell una dieta vegetariana "impegna" la produzione di mezzo ettaro di terra l'anno contro gli 1,3 di chi si trova nel piatto due etti e mezzo di carne al giorno. Senza contare che mucche, pecore, capre e maiali occupano oggi da soli il 26% delle terre emerse non coperte da ghiacci.
Non è un caso forse se la bandiera di un'alimentazione a base vegetale - prima che si scomodasse l' ex Beatles - è stata sventolata anche da una testa fine come Albert Einstein: «Nulla darà più possibilità di sopravvivenza alla terra quanto un' evoluzione verso una dieta vegetariana», diceva con la solita preveggenza.
Un pianeta con meno bistecche e più insalata, però, non è solo una garanzia di lunga vita per il pianeta ma anche, meno prosaicamente, per chi sceglie di seguire i consigli di McCartney. I vecchi luoghi comuni secondo cui un'alimentazione priva di carne partorisce uomini scheletrici e fanciulle esangui sono scientificamente sfatati da tempo. L'American Dietetic Association ha riabilitato la dieta "verde" dal 1990 efinendola «equilibrata». Il resto lo dicono le statistiche.
Uno studio della Oxford Vegetarian society su 11mila persone durato 20 anni ha dimostrato che i morti per malattie cardiache sono il 43% in meno tra i vegetariani. Merito, come ovvio, del minor tasso di colesterolo nel sangue. Gli avventisti del settimo giorno - una confessione dove il no alla bistecca è una questione religiosa - sono uno dei campioni di popolazione a stelle e strisce dove l' incidenza di ischemie e di tumori al colon e alla mammella è minore. E quanto ai fisici scheletrici, il problema del terzo millennio, come sappiamo, è l' opposto: l' obesità. E anche qui i numeri la dicono lunga: il girovita abbondante è un problema per il 18% degli americani ma solo (si fa per dire) del 6% di quelli che mangiano solo vegetali. Cifre importanti che per un Occidente che spende l' 1% del Pil per combattere le conseguenze sanitarie e sociali della pinguedine.
Statistiche e ritorni economici non sono però l' unica stella polare che guida l' esercito in crescita (soprattutto tra le teen-ager) dei vegetariani. L' utopia resiste ancora. «Come sarebbe la terra se nessuno mangiasse carne? La prima immagine che mi viene in mente è quella di un pianeta senza conflitti», dice Carmen Somaschi, presidente dell' Associazioni vegetariani italiani.
Fare l' amore e non la guerra, come si diceva all' epoca dei figli dei fiori. E se proprio si è vegetariani e non si trova l' anima gemella, non ci sono problemi. Il futuro è già qui: il sito "www. greensingles. com" organizza appuntamenti galanti per accoppiare gli sfidanzati anti-bistecca. Se ci si affretta, magari, si trova anche McCartney in lista.
ETTORE LIVINI
Repubblica — 25 giugno 2008
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/06/25/047diventate.html
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