Hamburger connection
Il principale imputato sono gli allevamenti di bestiame: sono questi che stanno distruggendo l'Amazzonia
di Marina Forti
Il principale imputato sono gli allevamenti di bestiame: sono questi che stanno distruggendo l'Amazzonia, secondo il rapporto diffuso qualche giorno fa da un istituto ambientale di una certa autorevolezza, il Centre for International Forestry Research che ha sede in Indonesia.
I dati sono allarmanti: in 12 mesi, tra metà 2001 e metà 2002, sono scomparsi oltre 25mila chilometri quadrati di foresta amazzonica brasiliana - una superfice pari a poco meno dell'intera Haiti.
Rispetto agli anni precedenti è un tasso di deforestazione più alto del 40%, quasi un record nella storia della foresta amazzonica. I dati per l'anno successivo non sono ancora disponibili - saranno diffuso dal governo brasiliano tra qualche settimana, come ogni anno - ma gli ambientalisti temono che il ritmo sia ancora accelerato. Il principale imputato sono gli allevamenti di bestiame: sono questi che stanno distruggendo l'Amazzonia.
Secondo il Centro per la ricerca forestale, una tale accelerazione si spiega con l'espansione degli allevamenti di bestiame: dopo il boom delle piantagioni industriali, ora è l'export della carne a minacciare la foresta. Non per nulla il rapporto diffuso giorni fa è titolato Hamburger connection fuels Amazon destruction («La hamburger connection alimenta la distruzione dell'Amazzonia»).
Gli allevatori tagliano alberi per creare enormi pascoli, e tagliano nuove zone vergini via via che l'industria si espande o i pascoli sono esauriti. I dati sono chiari: l'export di carne dal Brasile ha avuto un grande balzo, in particolare da quando nel paese è stata eradicata l'afta epizootica (epidemia che fa croniche stragi tra gli allevamenti bovini, lasciando lunghe e penose eredità di embarghi sanitari e allevatori in rovina).
Dunque: la popolazione di bovini degli allevamenti brasiliani è raddoppiata nell'ultimo decennio fino a raggiungere i 175 milioni di capi nel 2002, e tre quarti di questa crescita (pari a 57 milioni di mucche) è in Amazzonia. Nel frattempo il fatturato dell'export di carne brasiliana ha raggiunto un record di 1,5 miliardi di dollari l'anno scorso, ovvero è triplicato dal 1995, e quest'anno il Brasile è stimato il primo esportatore mondiale di carne bovina.
Fino a quanche anno fa la gran parte di produzione e export di carne erano in conto agli stati meridionali del Brasile, anche perché l'Amazzonia era regione infetta dall'afta epizootica: finché la malattia bovina è stata eradicata.
La carne prodotta in Amazzonia continua a concorrere in minima parte all'export brasiliano, va piuttosto sul mercato nazionale - almeno per ora - ma dal punto di vista degli alberi abbattuti la destinazione finale della carne fa poca differenza: il successo brasiliano nel combattere l'afta «è un'ottima notizia per le mucche ma una pessima notizia per la foresta», ha commentato il direttore del Centro per la ricerca forestale: secondo lui si può dire che «gli allevatori di bestiame stanno letteralmente facendo hamburger della foresta pluviale amazzonica».
A questo si aggiungano i problemi già noti e cronici, il traffico illegale di legname, l'occupazione abusiva di grandi estensioni di foresta da parte di coloni che radono al suolo gli alberi per avviare piantagioni - un abusivismo a volte sofisticato, con falsi titoli di concessione forestale. Con lo stesso meccanismo, ora il rapporto del Centro per la ricerca forestale parla dell'occupazione abusiva delle foreste da parte di grandi allevatori attirati in Amazzonia dal nuovo affare - il prezzo della carne cresce, l'investimento è redditizio.
Il rapporto fa appello al governo brasiliano a fermare queste occupazioni abusive e a ripensare i progetti di strade transamazzoniche, che aprono la via a colonizzazioni e deforestazione.
Fonte: Il Manifesto dell'11-04-2004 – Terra Terra
di Marina Forti
Il principale imputato sono gli allevamenti di bestiame: sono questi che stanno distruggendo l'Amazzonia, secondo il rapporto diffuso qualche giorno fa da un istituto ambientale di una certa autorevolezza, il Centre for International Forestry Research che ha sede in Indonesia.
I dati sono allarmanti: in 12 mesi, tra metà 2001 e metà 2002, sono scomparsi oltre 25mila chilometri quadrati di foresta amazzonica brasiliana - una superfice pari a poco meno dell'intera Haiti.
Rispetto agli anni precedenti è un tasso di deforestazione più alto del 40%, quasi un record nella storia della foresta amazzonica. I dati per l'anno successivo non sono ancora disponibili - saranno diffuso dal governo brasiliano tra qualche settimana, come ogni anno - ma gli ambientalisti temono che il ritmo sia ancora accelerato. Il principale imputato sono gli allevamenti di bestiame: sono questi che stanno distruggendo l'Amazzonia.
Secondo il Centro per la ricerca forestale, una tale accelerazione si spiega con l'espansione degli allevamenti di bestiame: dopo il boom delle piantagioni industriali, ora è l'export della carne a minacciare la foresta. Non per nulla il rapporto diffuso giorni fa è titolato Hamburger connection fuels Amazon destruction («La hamburger connection alimenta la distruzione dell'Amazzonia»).
Gli allevatori tagliano alberi per creare enormi pascoli, e tagliano nuove zone vergini via via che l'industria si espande o i pascoli sono esauriti. I dati sono chiari: l'export di carne dal Brasile ha avuto un grande balzo, in particolare da quando nel paese è stata eradicata l'afta epizootica (epidemia che fa croniche stragi tra gli allevamenti bovini, lasciando lunghe e penose eredità di embarghi sanitari e allevatori in rovina).
Dunque: la popolazione di bovini degli allevamenti brasiliani è raddoppiata nell'ultimo decennio fino a raggiungere i 175 milioni di capi nel 2002, e tre quarti di questa crescita (pari a 57 milioni di mucche) è in Amazzonia. Nel frattempo il fatturato dell'export di carne brasiliana ha raggiunto un record di 1,5 miliardi di dollari l'anno scorso, ovvero è triplicato dal 1995, e quest'anno il Brasile è stimato il primo esportatore mondiale di carne bovina.
Fino a quanche anno fa la gran parte di produzione e export di carne erano in conto agli stati meridionali del Brasile, anche perché l'Amazzonia era regione infetta dall'afta epizootica: finché la malattia bovina è stata eradicata.
La carne prodotta in Amazzonia continua a concorrere in minima parte all'export brasiliano, va piuttosto sul mercato nazionale - almeno per ora - ma dal punto di vista degli alberi abbattuti la destinazione finale della carne fa poca differenza: il successo brasiliano nel combattere l'afta «è un'ottima notizia per le mucche ma una pessima notizia per la foresta», ha commentato il direttore del Centro per la ricerca forestale: secondo lui si può dire che «gli allevatori di bestiame stanno letteralmente facendo hamburger della foresta pluviale amazzonica».
A questo si aggiungano i problemi già noti e cronici, il traffico illegale di legname, l'occupazione abusiva di grandi estensioni di foresta da parte di coloni che radono al suolo gli alberi per avviare piantagioni - un abusivismo a volte sofisticato, con falsi titoli di concessione forestale. Con lo stesso meccanismo, ora il rapporto del Centro per la ricerca forestale parla dell'occupazione abusiva delle foreste da parte di grandi allevatori attirati in Amazzonia dal nuovo affare - il prezzo della carne cresce, l'investimento è redditizio.
Il rapporto fa appello al governo brasiliano a fermare queste occupazioni abusive e a ripensare i progetti di strade transamazzoniche, che aprono la via a colonizzazioni e deforestazione.
Fonte: Il Manifesto dell'11-04-2004 – Terra Terra
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