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Il maiale, dal prato alla nostra tavola

“E’ ora di guardare ai maiali non come ad animali da mettere in tavola, ma come a una famiglia lontana cui siamo legati da un’affinità profonda e speciale: stanno solo aspettando il segnale che siamo finalmente pronti a vivere con loro considerandoli esseri pari a noi per svelarci con esuberanza suina l’intera gamma della loro complessa personalità emotiva.”
Jeffrey Moussaieff Masson, Il maiale che cantava alla luna



Il maiale come animale

Per capire le necessità di questo animale, bisogna fare riferimento al cinghiale (o maiale selvatico eurasiatico), progenitore della stragrande maggioranza dei suini domestici. Un maiale lasciato libero, infatti, rinselvatichisce immediatamente senza problemi di riadattamento, ed anche la propria morfologia subisce mutazioni in tempi sorprendenti, riassumendo i caratteri del progenitore. Come notò Darwin: «Nelle Indie Occidentali, nell’America del Sud e nelle isole Falkland, dove questi animali sono allo stato di libertà, essi hanno dovunque ripreso il pelame oscuro, le setole grosse e le zanne del cinghiale; i giovani vestono la livrea del cinghialetto».

Come noi, e come i cani, i maiali sono animali socievoli. Se lasciati liberi, i maiali gironzolano ed esplorano per tutto il giorno il territorio con i propri simili. Amano grufolare (cioè frugare con il muso nel terreno alla ricerca di tuberi) ed esplorare immersi in territori ricchi e stimolanti, come fa il cinghiale in libertà. In molte regioni italiane questa sua attitudine viene sfruttata in modo originale: grazie al suo sviluppatissimo fiuto e ad un particolare addestramento, viene utilizzato per la ricerca dei tartufi, in sostituzione del piu’ tradizionale impiego del cane.

I maiali sanno riconoscere il proprio nome e, sempre come i cani, scodinzolano quando sono felici. Ma al contrario del cane, il maiale non sembra avere un periodo critico oltre il quale non può più essere socializzato, e se trattato con affetto anche un maiale adulto può benissimo diventare amichevole quanto un cane che ha da sempre vissuto in famiglia sin da cucciolo. I maiali spesso vengono alimentati con gli scarti, ma in realtà hanno un palato molto raffinato, tanto da preferire un dolce ad una sana verdura. Allo stato selvatico, il 90% della sua dieta è di natura vegetale e consiste in frutta, semi, radici e tuberi.

Come noi, evitano le alte temperature: poiché sono dotati di ghiandole sudoripare solo sul naso, è essenziale che non si surriscaldino. L’acqua non è sufficiente a rinfrescarli, perché evapora troppo in fretta, mentre il fango ha un effetto più duraturo. Ecco perché i maiali, come anche gli elefanti, hanno bisogno di rotolarsi nel fango, che inoltre protegge la loro delicata pelle dalle scottature del sole, come pure dalle mosche e da altri parassiti. Dunque i maiali non sono sporchi. Anzi, è vero il contrario: un maiale non defecherà mai nella zona dove dorme o mangia, lo ritiene insopportabile, proprio come un cane. In mancanza di fango, il maiale scava delle fosse, nel già fresco sottobosco, in cerca di umidità.

Allo stato brado, una scrofa che si prepara a partorire, spesso costruisce un nido protettivo alto fino a un metro. Le femmine imbottiscono questi giacigli con piccole quantità d’erba trasportata con la bocca e a volte riescono perfino a costruire una tettoia di rami, una struttura sicura e accogliente simile a una casa. Appena nati, i maialini selvatici sono striati a scopo mimetico, con sfumature del manto che richiamano il gioco di luci e ombre del sottobosco. I canini e gli incisivi affilati di cui i maialini sono provvisti alla nascita sono giustamente chiamati denti a spillo. Entro quarantott’ore dalla nascita, la nidiata stabilisce un ordine per la poppata, e da quel momento ogni piccolo succhia solo dal “proprio” capezzolo. Se glielo si permette, i maialini vengono allattati anche per tredici settimane, e in certi casi anche più a lungo. I giovani suinetti amano particolarmente giocare: si inseguono, fanno la lotta, rotolano lungo i pendii e si impegnano in un ampio repertorio di attività divertenti.


Il maiale come cibo

La carne di un maiale è quella che più somiglia alla carne umana, cosa piuttosto sconcertante se si pensa a quanto è apprezzato da chi lo mangia. Il maiale, dopo essere stato ucciso, eviscerato e tagliato a pezzi, lo ritroviamo sulle nostre tavole sotto forma di numerose denominazioni, a seconda di quale parte del suo corpo ci stiamo preparando a consumare e di come tali parti vengono trasformate: cotechino, zampone, salame, prosciutto cotto e crudo, mortadella, wurstel, pancetta, lonza, braciola, zampone, strutto, salsiccia e altri prodotti.

Le scrofe negli allevamenti sono usate come animali da riproduzione. Sempre più spesso viene praticata inseminazione artificiale. Altrimenti si attua la cosiddetta “monta controllata”: a tale scopo vengono usate delle particolari strutture dalla forma allungata, denominate “travaglio”, in cui la scrofa viene immobilizzata e il verro (il maschio scelto per la riproduzione) viene fatto entrare nel retro. Spesso la scrofa, a distanza di qualche ora, viene forzata ad un secondo “accoppiamento” con un verro diverso, in quanto ciò aumenta il numero di porcellini da destinare al macello.

Le scrofe vivono all’interno di piccoli box collettivi con pavimento cementato. Con la gravidanza vengono inserite in gabbie metalliche dette di gestazione, larghe 60 centimetri, dove non hanno la possibilità di compiere alcun movimento, compreso quello di ruotare su sé stesse. Possono solo alzarsi per alimentarsi o giacere a terra. Rimarranno in queste gabbie per quattro mesi. Incapaci di muoversi, diventano pesantissime (è questo lo scopo naturalmente) e soggette a zoppia.

Pochi giorni prima del parto, vengono trasferite in speciali gabbie metalliche dette da parto, fasciate da una serie di tubi che permettono solo, ai piccoli, una volta nati, di potersi nutrire dalle mammelle. In queste gabbie le scrofe, dove sono impedite in qualsiasi movimento, trascorrono tre o quattro settimane, fino a quando i piccoli nati non vengono trasferiti in altri box. Dopodichè le scrofe possono essere reinserite nel ciclo di allevamento e rese nuovamente gravide una o due settimane più tardi.

Solo trent’anni fa una scrofa in allevamento intensivo era in grado di produrre 13 suinetti all’anno. Oggi si arriva a 22, in alcuni casi anche a 28. Dal punto di vista psicologico queste scrofe diventano “nevrotiche” (come le definiscono gli allevatori): mordono le sbarre dei box per ore, siedono in posizione simile a quella dei cani, ma con aria inebetita, mostrando tutti i segni del dolore per la perdita dei piccoli. Dopo 2 anni di questa vita, anch’esse finiscono al macello.

Ai maialini, a pochi giorni dalla nascita, le code e le orecchie vengono amputate, i denti tagliati (pratica che può causare la frantumazione degli stessi e gravi infezioni), i testicoli strappati.

Queste “operazioni” servono per controllare episodi di aggressività dovuti all’eccessivo stress una volta che saranno immessi nell’allevamento (i maiali tenteranno di mordersi la coda e le orecchie e di aggredire i propri compagni a morsi). La castrazione, oltre a rendere l’animale meno aggressivo, è “necessaria” per evitare uno spiacevole sapore nella carne, in particolare per la produzione di prosciutti, stando ai gusti dei consumatori più raffinati.

Queste operazioni dovrebbero essere eseguite da uno specialista, ma per ovvi motivi economici (si tratta di numerosissimi animali da “lavorare” ogni giorno) vengono svolte da semplici operai, senza alcuna competenza veterinaria, e senza ricorrere ad alcuna anestesia, ovviamente. I suinetti durante l’”operazione” strillano terribilmente, sia per la paura che per l’intenso dolore.

I piccoli, dopo essere stati allontanati dalle madri quando hanno tre o quattro settimane, vengono messi in gabbie metalliche dette di svezzamento, fino a raggiungere, a 55 giorni di età, il peso approssimativo di 20 chili. Un’ulteriore fase di crescita porta gli animali, divisi per gruppi e sistemati in appositi box, fino a 50 chili.

All’età di circa tre mesi vengono trasferiti in reparti di accrescimento e ingrasso, all’interno di piccoli box in cemento, in gruppi di 10-20 individui. Si crea così una situazione molto disagiata ed innaturale per questi animali che amano muoversi ed esplorare, ed inoltre il sovraffollamento rende impossibile agli individui più sottomessi di tenersi distanti dai soggetti dominanti e più aggressivi.

In questi capannoni, d’estate il caldo diventa insopportabile. I maiali, non potendo disporre né di fango in cui rotolarsi né di fosse da scavare, sono costretti ad attuare un sistema particolare. Normalmente esiste nei box una griglia che permette la raccolta delle feci in un recipiente sottostante. In estate gli animali evitano di utilizzare la griglia , ma defecano sul cemento: in questo modo creano un pantano dove potersi rotolare nelle giornate più calde. E’ l’unica soluzione che hanno a disposizione per combattere il caldo insopportabile per loro estenuante, nonostante questo comportamento sia incompatibile con la loro natura e crei forte disagio all’animale.

Le condizioni igieniche precarie sono testimoniate dal pessimo odore che emanano gli allevamenti di suini. Feci, urine e scarti di cibo emanano, oltre all’odore, ammoniaca e altri gas, che rendono difficile la respirazione agli animali, rovinando il loro apparato respiratorio con conseguenti irritazioni e infezioni interne. Negli allevamenti i maiali sono inoltre soggetti ad ogni genere di malattia: artriti dovute all’immobilità, infezioni da salmonella, gastroenteriti epidemiche, parvovirosi suina (ppv, l’infezione più comune) e altre la cui natura è ancora da determinare con certezza, come la pirs e il morbo blu. È quindi necessaria una continua e massiccia somministrazione di farmaci. Inoltre nell’allevamento i maiali vengono costantemente mantenuti in semioscurità, in modo che non possano fare altro che mangiare durante tutto il giorno.

Le manifestazioni di sofferenza sono facilmente individuabili in comportamenti stereotipati (mordono o leccano per ore le sbarre), di apatia (giacciono a terra con espressione vuota) o di aggressività (attacchi incontrollati ai propri compagni). Per controllare lo stress, piuttosto che rimuovere le cause (le condizioni innaturali di vita) si preferisce soffocare la reazione con forti dosi di sedativi o rimediando mettendo dentro i box vecchi copertoni su cui i maiali sfogano il loro nervosismo (similmente a quanto avviene nelle celle di cura per i malati di mente con le pareti rivestite in materiale morbido).

Maggiore è il peso che si vuole far raggiungere all’animale, più tempo questo rimarrà nel box: un “suino leggero” pesa 100-110 chili, un “suino pesante” 140-160 chili. Ma possono arrivare anche a 200 chili ad un anno di età. Vengono ingrassati fino al punto di avere difficoltà a muoversi. Quando raggiungono il “peso di macellazione” vengono uccisi, di solito dopo 6 mesi di vita, cioè ancora giovanissimi.

Per i suini, il momento dell’uccisione è particolarmente penoso. Gli animali, prima di essere uccisi, devono essere storditi . La legge prevede, a tal fine, l’uso del proiettile captivo, che penetra nella corteccia cerebrale dell’animale e poi riesce, sparato da una pistola pneumatica. Ma a causa della rapidità delle linee di macellazione (ben più di 1000 suini in una mattinata), spesso gli animali non sono storditi in maniera corretta, e quindi vengono sgozzati, e poi gettati nelle vasche di acqua bollente, ancora coscienti. Infatti, quando se ne esaminano i polmoni dopo la morte, spesso si vede che contengono sia sangue che acqua, il che dimostra che gli animali erano ancora vivi e hanno respirato acqua bollente mentre annegavano nelle vasche.

In Italia si stimano circa 17 milioni di suini allevati in un anno. Centodiciotto milioni in Europa. Un miliardo in tutto il mondo. In natura questi animali vivrebbero circa 18 anni. In un allevamento vivono solo 6 mesi. Le scrofe due anni, come detto, ma difficilmente questo può rappresentare un vantaggio, dato le condizioni terribili di vita in cui sono costrette.

Riccardo B. (Alan Adler)




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