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Jeremy Rifkin: 'Ecocidio' (recensione)


Carne: j'accuse

"Ecocidio" di Jeremy Rifkin, dall'antico Egitto ai giorni della mucca pazza, una spietata ricostruzione storica, antropologica, economica e politica dei costi e dei pericoli della cultura della bistecca. Con un appello rivolto a un mondo popolato da un miliardo di bovini, un'immensa mandria che occupa il 24 per cento della superficie della terra e che consuma una quantità di cereali sufficiente a sfamare centinaia di milioni di persone: la specie umana, se vuole salvare se stessa e il pianeta che la ospita, è destinata ad andare oltre la carne.
Francesca Colesanti



Vien voglia di non credergli.

Per un estremo istinto di autodifesa e di sopravvivenza, scorrendo quelle pagine si cerca l'errore, l'esagerazione, l'estremismo. Non ci sono. Dalle parole di Jeremy Rifkin - presidente della Foundation on Economic Trends di Washington e docente alla Wharton School of Finance and Commerce dove tiene i corsi dell'Executive Education Program sul rapporto tra l'evoluzione della scienza e della tecnologia e lo sviluppo economico - traspare solo la dura realtà, la cruda realtà, la realtà della bistecca. E della cultura che l'ha prodotta.

Ecocidio (Mondadori, pp. 373, L. 35.000) è una affascinante quanto rigorosa ricostruzione storica dell'ascesa della cultura della carne dagli albori dell'umanità fino ai nostri giorni, all'epoca della mucca pazza. E se tutto conosciamo ormai sull'encefalopatia spongiforme bovina e dintorni, molto abbiamo invece da imparare sui meccanismi che hanno portato le società industrializzate a fare della carne un pilastro portante della propria economia, del proprio modus vivendi, con tutte le conseguenze che ciò comporta sull'ecosistema mondiale.

Sulla base degli elementi tratti dalla ricostruzione storica, economica e sociopolitica, Jeremy Rifkin non soltanto lancia un appello all'umanità, affinché superi nel ventunesimo secolo la cultura della bistecca, ma emette una sentenza dal sapore più che profetico: la specie umana, se vuole salvare se stessa e il pianeta che la ospita, è destinata ad andare "oltre la carne".

Lo smantellamento del complesso bovino globale e l'eliminazione della carne dalla dieta umana sono un obiettivo fondamentale dei prossimi decenni.

Nel nuovo mondo che si va formando, secondo l'autore di La fine del lavoro (1995) e di Il secolo bio-tech del 1998 (entrambi editi da Baldini & Castoldi) e del volume L'era dell'accesso - La rivoluzione della new economy (Mondadori, 2000), la natura non è più un nemico da sottomettere e domare, ma una comunità primordiale di cui far parte. Le altre creature non sono più oggetti o vittime, ma compagni partecipi di quella grande comunità della vita che costituisce la natura e la biosfera.

Api, il dio toro, rappresentava per i popoli del Nilo la forza e la virilità, ci racconta Jeremy Rifkin nel capitolo dedicato a "Il bestiame e la costruzione della civiltà occidentale", immergendoci per un attimo con una scrittura quasi fiabesca nella mitologia degli antichi egizi: "Api simboleggiava il vigore della giovinezza e l'eternità della vita, ed era incarnato in un toro in carne e ossa che veniva custodito in un santuario e accudito dai sacerdoti, alla fine dell'anno, Api veniva macellato secondo un elaborato rituale; la sua carne veniva consumata dal re, che acquistava così la fiera forza dell'animale, la sua maestosa potenza e la virilità, in modo da diventare immortale".

"Dopo la macellazione e il pasto rituale delle carni del dio Api - continua a narrare Rifkin -, i suoi resti venivano mummificati e sepolti in una camera speciale, celata da un gigantesco sarcofago pesante più di cinquanta tonnellate".

Poi, il brusco, teatrale risveglio nei box degli allevamenti intensivi statunitensi, dove gli animali vengono castrati, imbottiti di farmaci e messi all'ingrasso. Raggiunti i cinquecento chilogrammi, i vitelli maturi sono ammassati in giganteschi camion; il viaggio verso il mattatoio è duro e brutale: ore, giorni, lungo i percorsi autostradali, senza soste, nutrimento e acqua. "Al termine del viaggio, gli animali ancora sani vengono fatti scendere; gli altri, schiacciati sul piano di carico del camion, incapaci di alzarsi o di camminare, vengono agganciati per gli arti rotti e trascinati giù dal camion fino alla rampa di carico, dove attendono il proprio turno di macellazione".

Ma la massima crudezza, Rifkin la raggiunge nel capitolo di Ecocidio dedicato alla "industrializzazione dei bovini", là dove descrive la catena all'interno degli impianti di macellazione:
"L'animale morto si muove lungo una catena di smontaggio. Alla prima stazione viene scuoiato.
Poi la carcassa viene decapitata, la lingua tagliata e rimossa; la testa e la lingua vengono attaccate a ganci che scorrono lungo la catena di smontaggio. La carcassa, quindi, viene eviscerata: fegato, cuore, intestini e altri organi interni vengono rimossi.
Nella stazione successiva, la carcassa viene squartata con una motosega lungo la colonna vertebrale e privata della coda. La carcassa squartata viene lavata con un getto di acqua tiepida, avvolta in un tessuto e mandata nelle celle frigorifere. Il giorno seguente i macellai muniti di seghe a nastro smembrano la carcassa nei tagli canonici: filetto, costata, girello, spalla.
I tagli vengono posti su un nastro trasportatore per la selezione e il confezionamento. I tagli di carne, affettati, pesati e confezionati sotto vuoto raggiungono così i banchi refrigerati dei supermercati di tutto il paese, dove vengono esposti e offerti in vendita".

Il pregio di questo libro - scritto nel 1992 e che per grande coraggio editoriale o estrema cautela politica la Mondadori ha deciso di pubblicare ora, soltanto dopo l'apice della crisi della mucca pazza in Italia (sarà per questo che l'Ecocidio di Rifkin sta transitando nelle nostre librerie quasi sotto totale silenzio stampa?) - non sta tanto, anzi non sta affatto, nel facile sensazionalismo che può indurre la descrizione di un mattatoio o di un allevamento intensivo. Sta invece nell'attenta analisi delle conseguenze e dei costi per l'umanità che ha comportato il consumo della carne dai tempi dei conquistadores spagnoli delle Americhe fino alla giungla automatizzata della "carne moderna" dei nostri giorni.

"Vacche ovunque", titola il primo capitolo della parte quarta, dedicata al tema "Nutrire le bestie e affamare la gente".

"Più di un miliardo di vacche pascolano nei cinque continenti. Un quarto delle terre emerse è usato per nutrire bovini e altro bestiame".

Questo significa, spiega Rifkin prendendo ad esempio gli Stati Uniti, che il 70 per cento dei cereali prodotti in America viene utilizzato per l'alimentazione animale. Ma, a fronte di un utilizzo di 157 milioni di tonnellate di cereali per il nutrimento del bestiame da macello, la carne consumata dall'uomo è pari a meno di 28 milioni di tonnellate di carne.

"Sfortunatamente - conclude Jeremy Rifkin - tra gli animali domestici i bovini sono i convertitori meno efficienti di energia, anzi possono essere considerati le Cadillac degli animali d'allevamento".

E, poiché la domanda mondiale di cereali per l'alimentazione animale è in continua crescita, le multinazionali incoraggiano i paesi del terzo mondo alla conversione dell'agricoltura a cereali per il nutrimento dei manzi dei paesi ricchi. Quando in Etiopia la grande carestia mieteva vittime su vittime, la gran parte di quella terra era utilizzata per la produzione di mangimi a base di semi di lino esportati in Gran Bretagna.

"Con un terzo della produzione cerealicola mondiale destinata all'alimentazione animale e la popolazione mondiale in crescita al ritmo del venti per cento ogni dieci anni, si sta preparando una crisi alimentare di proporzioni planetarie".

E l'impatto distruttivo dei bovini si manifesta anche nella progressiva desertificazione di ampie fasce di territorio non soltanto nelle due Americhe ma anche in Africa e in Asia: foreste abbattute, terre fertili trasformate in deserti, minacce di profonde e devastanti modifiche climatiche.

Risvegliare nel consesso umano la coscienza del saccheggio dei bovini è un compito difficile e ingrato. Ma con questo libro Jeremy Rifkin può almeno dire di aver fatto il possibile.


Tratto da: "Il Manifesto" del 4 Luglio 2001 - http://www.ilmanifesto.it




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